domenica 28 aprile 2013

La pioggia dentro

Oggi mi piove,
mi piove dentro,
piovere sento
piove ogni dove.

 Piove col sole,
piove sul grigio
su quel fastigio
che dentro mi duole.

 Piove su tutto,
il tutto marcisce,
sul governo che nasce
e nasce distrutto.

 Piove la gente,
la gente si perde,
piove sul verde,
sul paese che mente.

Oggi mi piove,
mi piove dentro,
e morire sento
il magnifico altrove.

Un piccolo segno
di cambiamento,
fomenta il tormento
di un malato regno.

E' un regno di pioggia,
un regno inzuppato,
lo stivale bucato
da cui esce la roggia.

Senza speranza,
il midollo appestato,
d'uno stato malato
che si tiene a distanza.

Oh pioggia che cadi,
che cadi scrosciante,
distruggi sprezzante
ogni cosa che invadi.

Portalo via, questo paese,
sommergi la vita, sommergi le spese,
il governo, la gente, il più bel monumento,
che tanto ci piove, ci piove dentro.






sabato 27 aprile 2013

L'abisso che separa Pasolini dall'Amaca di Serra e dal Servizio Pubblico di Santoro.



Ci sono controsensi spaventosi. Apprendere, leggendo l'Amaca di Michele Serra, quanto ormai anche chi 'ci capiva' abbia tirato i remi in barca, fa proprio male.

Provo una profonda tristezza. Ho sempre letto gli interventi di Serra, trovandomi spesso in accordo, ma ora rimango stuccato e, onestamente, deluso per questo 'moderatismo' diffuso che invita a una indefinita 'canalizzazione della rabbia, ad un generico buonismo'. Santoro nell'episodio citato è stato di una bassezza disarmante. La rabbia c'è, ahinoi, ed è generazionale. E questi signori dabbene che faticano ad accettare che le cose devono mutare, intristisce. Che la studentessa si sia espressa in toni non del tutto accomodanti e persino discutibili è possibile, ma che Santoro l'abbia ricambiata con altrettanto qualunquismo (anzi no, con una connotazione ancor più grave visto che veniva da Santoro che i titoli per evitare certi giochetti li avrebbe tutti), questo offre la misura dell'ossimoro: si capisce, infine, che esiste davvero un potere costituito anche laddove ci si aspettava che ci si battesse contro quel potere. 

Cito Pasolini, dalle lettere Luterane (ed. Garzanti, p. 40) 'chi accetta realisticamente una trasformazione che è regresso e degradazione, vuol dire che NON AMA chi subisce tale regresso e tale degradazione, cioè gli uomini in carne e ossa che lo circondano. Chi invece protesta con tutta la sua forza, anche sentimentale, contro il regresso e la degradazione, vuol dire che AMA quegli uomini in carne ed ossa'.
Io fra la studentessa (tacciata di ignoranza e forse effettivamente ignorante, chissà...) e lo scaltro Santoro (ignorante nel modo e nella scaltrezza di chi ha il potere dalla sua), so chi scegliere.
Abbiamo un diritto alla rabbia.
Una giusta ira.
I Serra, i Santoro, i vari intellettuali organici di ora, un tempo la loro ira la chiamavano protesta.
Oggi vorrebbero negarcela. Ci passano per ignoranti così come per ignoranti i vecchi democristiani facevano passare loro, ai tempi del dissenso, ai tempi in cui i giovani volevano cambiare il mondo.
Ci avete tolto lo spazio e il tempo del nostro agire, volete toglierci anche la rabbia?
Abbiate pietà, se vi manca la memoria.





Il tempo che viene avrà il colore verde

Il tempo che viene avrà il colore verde e di quella tinta conterrà tutte le complicate sfumature.
Perché nulla come il verde è sotto l'occhio di tutti ed è da tutti guardato con fretta.
Perché nulla come il verde è raro nonostante la sua quotidiana diffusione.
Contiene i segreti il verde e all'occhio distratto li cela, poi li rivela a colui che sosta per scrutare oltre.
Il tempo che verrà avrà il colore verde e scioglierà la tempesta e la luce.
Non ci sarà altro colore che ad esso non si inchinerà.
O guarderemo oltre o resteremo qua, nell'oggi senza futuro.


giovedì 25 aprile 2013

La giusta ira: ovvero, mi fa bene incazzarmi. L'ITALIA GERONTOCRATICA E IL CONCETTO DI GIOVANE: NAPOLITANO E IL CASO LETTA

Sconfortato, ormai, e inerme in questa deriva politica senza soluzioni, leggo oggi sul sito di Repubblica le motivazioni di Napolitano alla nomina di Letta. Cito:

"Pur essendo giovane, Enrico Letta ha già accumulato importanti esperienze in Parlamento e nell'attività di Governo", ha ricordato. In caso di successo l'esponente del Pd diventerebbe infatti il più giovane presidente del Consiglio dopo il democristiano Giovanni Goria (arrivò a Palazzo Chigi nel 1987 a 43 anni mentre Letta ne compie 47 ad agosto).

Ma con quale presunzione o con quale distorsione concettuale possiamo definire un uomo di 47 anni, giovane? E, nell'affermarlo, rincuorare la cittadinanza che, nonostante tale giovinezza, questa persona ha comunque esperienza?

Una volta a 47 si moriva! Abbiamo un presidente della Repubblica quasi novantenne che, paradossalmente ma comprensibilmente, reputa GIOVANE un quarantasettenne.

Non amo il giovanilismo, e chi mi conosce lo sa. Tanto meno amo i rottamatori che si gongolano nell'equazione VECCHIO = SBAGLIATO. Aggiungiamo che Letta non mi piace ed è l'ulteriore delusione nelle molte che mi ha regalato il PD.
Ma di grazia!
Non dite che è giovane! Offende i milioni di 'giovani obbligati' come me, che aspettano un diritto 'esistenza, un ruolo generazionale che ci viene negato a 35, 38, 40 anni! Ho 38 anni e un tempo a questa età si era considerati 'pienamente maturi'. Oggi, quasi a presa di culo, ci definite giovani. Ci pensa la mia barba brizzolata a non farmi montare la testa, grazie a Dio. A ricordarmi che sarei altro, che non basta darmi del giovane per farmi tacere dell'insoddisfazione che lacera la mia generazione perduta.
Abbiate il garbo, presidente Napolitano, di non offenderci una volta di più. La prego.
Non siamo giovani, siamo immensamente sfortunati. 



domenica 21 aprile 2013

Memorie di un maestro precario. Io, l'arpa e i bambini della classe sismica.

Abbiamo vinto. Anzi, ha vinto la musica.
La settimana era stata pesante, la stagione non aiuta e siamo tutti stanchi.
A scuola si dura una fatica bestiale, si lotta contro resistenze d'ogni tipo.
Sono riaffiorate antiche abitudini, certe arroganze che a fatica avevamo sopito. Ogni proposta che facevo veniva polemizzata, aggredita, mal sopportata dal solito gruppetto di provocatori e provocatrici che, a volte, tengono in stallo la classe. Sono ricorso varie volte alla durezza, alla minaccia.
Conquisto l'attenzione ma perdo come docente.
Ero dunque stanco e stufo, non vedevo l'ora di finire la settimana. Il venerdì pomeriggio in genere ci salutiamo col cineforum ma non avevo trovato il film che desideravo far vedere ai bambini (anche perché, ultimamente, è difficile accontentarli....). Preso dall'estro, ho portato a scuola la mia arpa celtica.
E' stata una sorpresa.
Sanno che la suono, ma trovarsela così, in classe, reale ed elegantissima è stato uno shock efficacissimo.
Nel dopomensa li ho lasciati giocare liberamente in giardino poi, al fresco degli alberi, ci siamo attardi con due chiacchiere per rilassarci e farci due risate. Era il momento: siamo saliti in classe. Il solito caos poi le mie mani sull'arpa. Due note e due voci in meno, tre note ed è il calo della confusione. Alla quarta, silenzio.

Abbiamo passato due belle ore. Mi hanno ascoltato, poi per ringraziarli ho cantato i loro haiku mettendoli in musica.
Il maestro che canta e suona, e suona i nostri haiku! - In cuor mio un po' mi vergognavo ma sapevo che era una strada da tentare. Dopo le prime resistenze, tutti hanno desiderato ascoltarsi attraverso la mia voce e la musica. Mi sono messo in gioco. E loro hanno espresso riconoscenza autentica.
Abbiamo cantato assieme.
I maschi, soprattutto, mi stavano vicini. Mi studiavano. Alla fine delle varie esecuzioni mi guardavano, riproducevano i miei gesti che capivano non essere femminei ma comunque carichi di un'eleganza e di una grazia che, sì, ebbene, può essere anche di un uomo, di un maschio.
- Maestrooo, ma chiudi gli occhi quando suoni e ti lasci trasportare... - ha detto Parlatoreaduemila che è un grande calciatore e si è sciolto come burro. Mi imitava e diceva, sempre nel suo linguaggio velocissimo in cui si mangia 3 quarti delle parole: - bello, mi sembrava di vedere dei colori!
- Maestro, ma come fai a trovare le corde giuste? - chiedeva Biondascorbutica.
- Maestro, bellissimo! Mi faceva piangere questo pezzo! - la Scrittricelogorroica, abbracciandomi.
Insomma, siamo stati bene. La musica dal vivo, amplificata dall'utero luminoso della nostra classe, una grandissima classe, ci ha rimesso in pace quasi tutti con tutti. Solo tre hanno preferito andare in quinta a guardare il film. Non sono rimasto deluso per me ma per loro, per una radicata incapacità di cui non hanno colpa, quella di non potersi abbandonare.
Uno trova noiose le emozioni, una non le regge e deve sfuggirle, il terzo vive - ahimé - in un suo mondo nel quale nemmeno la novità riesce a penetrare. Ho provato con garbo a chiedere se avevano delle richieste ma hanno preferito andarsene e li ho lasciati andare. Ormai alle sconfitte ci sono abituato, ormai penso che esse abbiano per me una valenza persino costruttiva.
Ho continuato a suonare mentre, per regalo, loro disegnavano per me ciò che la musica aveva suggerito.
Avrei preferito 24 disegni, è vero, e ne ho ricevuti solo 21. Tre assenze contano ma io, ora, mi godo quel connubio meraviglioso che mi ha rimesso in pace con la mia classe e con la settimana andata storta.
Stiamo sopravvivendo ma venerdì la nave alla deriva aveva di nuovo vele gonfie, gonfie di vento, di luce e di musica.





Il paese mai esistito. La penisola della stasi.

Il procrastinarsi della situazione di stallo italiana è paradossalmente, a mio modesto modo di vedere, il punto di massimo contatto fra quadro politico e società che si sia visto mai  in Italia da almeno 30 anni ad oggi. Mai come ora mi sembra che il mosaico della classe dirigente e il suo immobilismo traducano su quel piano degradato e inaffidabile, come uno specchio grottesco ma non deformante, un contesto sociale impoverito, connotato da squallore, rabbia inespressa o espressa male, qualunquismo, pochezza di senso critico. L'elaborato sistema berlusconiano (ma con l'aggettivo s'intenda una responsabilità di sistema ben più estesa dei soli interessi del dittatore morbido) è talmente riuscita nel suo intento che non solo ha prodotto nuove, terribili generazioni di non pensanti ma è anche stata capace di rimodellare le generazioni precedenti che, quel senso critico, ce l'avevano e che ora annaspano nel peggior modo.
L'Italia è un paese triste. Socialmente triste. E' una terra di inutile bellezza, protesa alla rovina da sempre. Ora che i tempi di quella rovina incalzano, ce ne rendiamo conto ma non riusciamo a fermare lo scempio in atto. Abbiamo, io per primo, creduto in una sinistra che non esisteva. Abbiamo creduto in un paese altro, un'altra Italia, pensando da persone di sinistra che quelli come noi fossero una 'parte buona', una parte sana, sommersa, inascoltata. Ma forte della sua carica oppositiva, quella parte l'abbiamo vestita di alte idee e aspirazioni senza voler ammettere (perché il relativismo accomodante di questa nostra parte si è tinto troppo presto di concessioni e accomodamenti) che le vere cose per cui una sinistra combatte sono altre. Abbiamo difeso piccoli, grandi benesseri e ora che la crisi (la chiamiamo così con terrore ma la parola in sé ha un'etimologia meravigliosa: dal greco cernere, separare, dividere per comprendere) quel benessere lo porta via con sé, temiamo di tornare a stare peggio. Abbiamo lottato per chi stava peggio ma lo abbiamo fatto dai salotti privilegiati, ascoltando i cantautori che cantavano i carrugi e il letame, solleticati dalle loro rime coltissime e solo in apparenza popolari. Facevamo del bene, pensandolo, credendoci, con onestà, ma senza mai rinunciare a quel benessere che ora, fuggendoci, c'incattivisce.

Si è parlato di un'Italia delle arti come se queste ci riscattassero, vestigia d'un passato glorioso. E invece, lo sappiamo, esse sono figlie di una millenaria frammentazione fatta di poteri sontuosi e corrotti. Non ci sono passati gloriosi per noi. E un paese senza passato glorioso, non può avere un presente brillante. A meno che non si cambi rotta, non si compia quella rivoluzione che, per decisione storica, mai ha avuto i natali su questa penisola pigra e immobile. Perché la vera politica sta altrove di questo paese: lo disse Dante, lo ribadì Machiavelli e lo pianse Foscolo. Che l'Italia, ancora disunita, l'amarono e la odiarono terribilmente. Perché i grandi Italiani, come Pasolini, non possono che odiare questa terra d'inutile bellezza dove il sistema delle corruzioni raggiunge tutti i nervi della società, le filigrane sottili del mondo civile e ci abitua a due opposte e comunque pessime abitudini: l'illegalità o la rassegnazione.

Consideriamo una gloria storica la costituente? Bene. Lo sottoscrivo. Io per primo abbraccio commosso il più bel testo costituzionale del mondo. E allora perché, dico, perché non eleggere quale presidente della nostra martoriata Italia un costituzionalista della levatura di Rodotà? Perché i giochi di potere ancora sono così meschinamente superiori a tutto e tutti da farci impallidire innanzi a una tanto spudorata, immensa, catastrofica prospettiva di governi pattumiera? Perché giocare su nomi improponibili per poi ricadere su un vecchissimo, stanco, presidente che, nel suo secondo mandato (primato unico), ribadisce una cosa sola ovvero che in questo paese non siamo capaci di cambiare?

Lo stallo provocato dal Movimento 5 stelle è in verità sintomatico di una diffusa e capillare incapacità sociale di discernere e di crescere. Ne è un esempio lampante l'exploit di Renzi. Mi chiedo, anzi,  chiedo a tutti i miei numerosi amici che in quel giovinotto saccente e rottamatore hanno visto la chance di un cambiamento, ecco, questo dico e questo chiedo: è vero! Sicuramente se egli fosse stato designato quale nuovo leader del PD, avremmo vinto le elezioni con ampio margine (senza il mio voto, sia chiaro). Ma sapendo che il margine di voti in più sarebbe stato un fiume umano che proviene soprattutto da destra - lo so per certo, conosco gente di destra che lo avrebbe votato perché Renzi è strutturalmente uomo di destra, conformato al linguaggio mediatico di superficie, squisitamente berlusconiano- ecco, chiedo: ma che cosa avrebbe significato vincere in quel modo? Valeva davvero la pena accogliere pensieri e posizioni così radicalmente lontane dal modo, sia pure nuovo e moderno, di pensare a sinistra,  pur di vincere? Renzi avrebbe poi dovuto accontentare quell'elettorato allargato fatto di grillini educati ma riottosi, di berlusconiani delusi amanti della battuta facile, dello slogan, del discorso da bar. Allora non lamentiamoci se poi i nostri politici giocano a fare il gioco dell'inciucio. Saremmo stati i primi a sottoscriverlo. Votare Renzi sarebbe stato, sia pur in buona fede, il peggior compromesso storico della sinistra. Avremmo dato voce ad un ibrido che in superficie smantellava ciò che rabbiosamente desideriamo smantellare: privilegi, poltrone, vecchie facce e quant'altro. Ma in profondità? Avremmo scelto un sistema che non ci appartiene, che racconta un mondo che non ci piace.
Rinnovare la sinistra è doveroso. Smantellarla per farla assomigliare, nel migliore dei casi, a quell'aborto che è stata l'esperienza inglese di Blair mi sembra, invece, un errore terribile! Se è in quella direzione che volete andare, ditemelo: io non ci sto.

Del resto Bersani ha firmato il suicidio della sinistra. Non ha stoffa da leader e, poveruomo, ha cancrene lontane che rodono i fianchi della carcassa di cui cerca di tenere le briglie. Le cancrene si chiamano Dalema, Finocchiaro, Bindi e tanti altri si potrebbero mettere a seguito. Dalema è espressione di una visione cinica della politica, è il mestierante acuto ma ingordo di ruolo. E' colui che trama, che stabilisce machiavellicamente che la direzione da prendere si decide in alto, assumendo una posizione anglosassone di empirista. Le cose vanno così e  le si governano solo se ci adeguiamo ad esse. Per chi come me sogna un mondo umanamente migliore, Dalema offre solo risposte sterili. Gente come Anna Finocchiaro, la signora bene della sinistra, ha ingolfato invece il sistema con immagini schizofreniche. Predicare e razzolare in sensi opposti. Le signore bene che con la fusciacca etnochic hanno ingolfato il salotto del dibattito serale, con arroganza e falsa apertura, si sono smentite nella pratica. Figli nelle prestigiose scuole private religiose, privilegi da buona società. Insomma. Quando manca la sostanza, perché la tua sostanza è fatta d'altro, fai solo danni a sposare le grandi cause della compagine. Agire così è porgere il fianco nudo ai detrattori della sinistra. E come dar loro torto? Rosi Bindi e la cerchia dei moderati di stampo cattolico, esprimono il paradosso, anzi l'ossimoro, che avvelena la sinistra da quando il sistema bipolare (a mio modo di vedere antidemocratico per definizione) ha costretto il centro cattolico a rifluire o da una parte o dall'altra. Va da sé che a destra i cattolici destrorsi trovano terreno fertile ma a sinistra le cose si complicano. A sinistra ci sono battaglie da combattere e quella corrente d'estrazione cattolica le contrasta, le ammorbidisce, le vanifica. Rosi Bindi sarebbe un ottimo interlocutore politico se stesse fuori dai partiti della sinistra. Sarebbe una rispettabile esponente di un centro cattolico con cui si potrebbe dialogare sul piano delle riforme e di temi comuni. Ma averla assorbita al proprio interno non è altro che porgere un'accoglienza di comodo. Le tensioni gonfiano, il malcontento strepita. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Non amo il movimento 5 stelle, anzi. Grillo è esponente di spicco di un gridare veterofascista che trova linfa vitale in quel qualunquismo diffuso che il ventennio berlusconiano, come dicevo sopra, ha prodotto. Ma la vittoria elettorale del movimento va assolutamente rispettata e compresa. La supponente ironia con cui chiamiamo 'grillini' coloro che aderiscono al movimento rimette in campo cattive abitudini. Gli italiani, in modo bislacco e furisoso, hanno mandato un messaggio. Non dissimile da chi come me e altri, a sinistra, ha sostenuto SEL affinché quella voce avesse peso: una voce che mira a cambiare le cose ma lo fa con una civiltà e una competenza ben superiori a quella di Grillo.

Ma le cose non vanno. Questo paese di inutile bellezza è in stallo ormai.
Stiamo assistendo inermi agli ultimi scossoni della coda del mostro.
L'indagine del futuro si fa incerta. E' difficile capire cosa accadrà. Sicuramente staremo peggio, socialmente parlando. Ma anche in quel frangente temo che questo popolo abituato a lamentarsi non troverà risorse per scuotersi. Forse ci ha provato, sicuramente ha detto basta ad una serie di cattive abitudini senza capire, dimostrandolo anche con le scelte fatte, che i cambiamenti sono cose da pensare a fondo, che si votano i pensieri e non le persone, che abbiamo bisogno di fare ma solo se è 'fare bene'. Perché il fare per il fare, cui tanto inneggiano molti Renziani (ma che piaceva un sacco anche a energumeni del calibro della Santanchè), è un danno altrettanto malsano dell'inoperosità e suona come certa propaganda di regimi antichi e recenti.

Pensate a L'Aquila.
Io ci sono stato prima del terremoto. Era una città bellissima. Vitale ma garbata. Ricca di storia e di attività.
Ci hanno raccontato tanto di lei. Del dopo terremoto.
Fare, fare e fare. Tanti hanno detto di aver fatto.
Eppure, a guardarla oggi, l'Aquila rimane un ammasso di macerie.
La bellezza svanita. Inutile bellezza.
La vita altrove.
Ovunque, questo terribile, ammorbante, senso di stallo.

Lo stallo di noi tutti.



domenica 14 aprile 2013

Ho incontrato un Haiku

Monto in macchina, scendo per le vie boscose dietro casa mia ed esco nella piana quando ecco che, nel contrasto di luce dell'alba e di tenebra delle nuvole, incappo in un haiku abbacinante.

Fiori di rapa,
contro pioppi d'indaco
il giallo canta.


sabato 13 aprile 2013

Sguardi d'arte. Oggi vi accompagno da Orazio ovvero 'La tenebra scintillante'.

Eccoci a Roma.
Siamo agli albori del Seicento, proprio nei primissimi anni. Si sentono i fetori della metropoli papalina, il sapore caldo delle focacce sfornate, il vociare degli osti, i carri cigolanti sul selciato sconnesso. Si sente musica di liuto, canti sconci e liturgie solenni. Il contrasto della città eterna, capitale del mondo, è una sintesi degli opposti: avvince e respinge.
Ma tutto passa da là. Perché è a Roma e solamente a Roma, che si costruisce la storia del gusto e dell'arte agli inizi di quel secolo malato e cupo.
Nelle penombre della fucina romana si muove l'estro assoluto dei titani. Fra questi un posto d'onore spetta a Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.
L'arte di Caravaggio incanta e sconcerta. Detrattori e estimatori del tempo concordarono su un dato di fatto, lo stesso per cui chi detrae teme e chi sostiene incoraggia il controverso pittore lombardo: quella pittura cambierà lo stato delle cose. L'occhio della civiltà occidentale non guarderà più la pittura come ha fatto fino ad ora. Perché il criterio del bello assoluto vi è negato e la naturalezza, a volte brutale, consegue risultati potenti e altrettanto belli, seppur d'una bellezza nuova, che nasce dall'emozione di potersi riconoscere nell'evento figurativo che abbiamo innanzi. Caravaggio fu una delle cesoie più efficaci che la storia dell'arte occidentale ha mai incontrato.
A testimoniarlo, oggi, vorrei chiamare un meraviglioso pittore che la cara amica Paola Betti - la quale conosce ed ama  il Seicento e lo fa amare a chi ha il piacere di leggerla o ascoltarla - mi ha fatto leggere con occhi nuovi. Il pittore si chiama Orazio e l'amore per il gossip ha reso forse più celebre la talentuosa figlia, la celeberrima Artemisia. Ma, senza nulla togliere ad Artemisia, anche Orazio ha una stoffa da pittore di primissimo livello.
Nacque a Pisa negli anni Sessanta del Cinquecento ma presto raggiunse Roma. Pare che facesse l'orafo e che da quella pratica così puntigliosa e cesellata ne abbia derivato la propria pittura tersa, curatissima, impeccabile. Quando incontrò l'arte di Caravaggio, permeata di tenebra e brutalità ma anche d'improvvisi incanti popolari, Orazio si perse. Smarrì il senso di una vita fatta di cesello e di nitore.
Osservando la rivoluzione in atto, Orazio ebbe un cedimento dal quale seppe riprendersi con un compromesso. Sapendo di non poter pervenire ad un linguaggio interamente permeato del nuovo gusto, lo adeguò al proprio registro.
Ne nacque un'arte fatta di ossimori. Bellezza e nitore contro oscurità e naturalezza brutale.
Giustamente Orazio Gentileschi viene oggi ricordato fra i primi caravaggeschi, la cerchia dei pittori che recepirono l'insegnamento (indiretto) dell'arte del Merisi. In quel gruppo, però, egli si mantiene autonomo, diverso. Non perde mai il contatto con il dato naturale ma al contempo mantiene solida la sua visione limpida, fresca.
Guardiamo questo riposo dalla Fuga in Egitto. Il dipinto si conserva a Birmingham, in Alabama, ed una delle varie versioni di questo tema che il pittore realizzò fra i suoi soggiorni fra Roma e Firenze. Del resto la sua vita raminga lo portò anche a Genova, nelle Marche e poi in Francia e a Londra.



Questo dipinto racconta meravigliosamente il Seicento secondo l'occhio di Orazio. Guardate l'Asino che sbuca oltre quel muro sbreccato dove l'intonaco è caduto lasciando vedere il laterizio sottostante. L'asino è stanco, è povero e malinconico ma soprattutto è vero, naturale, intensamente presente alla scena. Quel cielo classico, di azzurri lontani frammisti a nuvole, lo fa risaltare di più. E' un colpo di teatro per dire a noi osservatori, che quella testa d'asino conta quanto la Vergine e il resto. E' lei stessa protagonista.
Maria e Gesù si dispongono nello spazio dal centro verso destra e suonano ai nostri occhi come una bella citazione classica vestita di costumi popolari. La Vergine è una delle numerose, celebri figure femminili di Orazio, aggraziate fanciulle di consistenza morbida, accattivante. Sono popolane di una Roma che in parte è moderna e in parte profuma d'antico, sono archeologiche matrone scolpite a cui il pittore concede una vita nuova e palpitante.
E' altrove, però, che Orazio ci rivela la sua spregiudicata adesione a Caravaggio. Il pezzo meraviglioso di questo bel dipinto è san Giuseppe, riverso in modo iperbolico su un cuscino di fortuna. Il vecchio, seppur immerso nel nitore adamantino caro al pittore, è completamente consegnato al sonno. Le sue righe e la sua barba gareggiano con l'Asino per conquistare un primato di naturalezza. Eppure, anche qui, il pittore riesce a far coincidere la rivoluzione naturalistica con una costruzione classica impeccabile. Il corpo abbandonato è quello di un galata morente, di un guerriero a riposo.
La pittura è teatro. Come la vita. Caravaggio sottrasse quel palcoscenico ideale all'idealità del classicismo.
Orazio, e questo dipinto ce lo conferma, seppe mediare fra lo sconcerto della novità e la purezza della forma antica.



martedì 9 aprile 2013

Memorie di un maestro precario. La tenerezza nella grammatica.


Lei è la minuscola biondina che si impegna. Sa di avere alcune difficoltà ma si fida, confida. Mi chiede tutto quello che non le torna, le prometto che affronteremo il problema e lei si rasserena. Stamani mi aspettava.
Le promesse si mantengono.
Sapeva che avremmo fatto gruppi di lavoro e che le avevo preparato delle attività tutte speciali per comprendere, finalmente, questo mistero che per lei rimane ancora profondo: il nome concreto, il nome astratto e la differenza fra primitivo e derivato. Sicché ci mettiamo a lavorare. Le avevo allestito una scheda abbastanza facile di partenza per scaldarci. L'ha fatta perfettamente e si è sentita felicissima. Poi ci siamo messi a discutere sui nomi, in un piccolo gruppo e ha iniziato a buttarsi, a fare tentativi, e via via che incontravamo queste amebe orribili che sono i nomi quando vogliono tenderci tranelli, la trasformavo in investigatrice coi suoi compagni. Ma un profumo lo possiamo annusare? Sì! Allora maestro ho capito, è concreto. Ma la gioia la possiamo toccare? No! Allora è astratta!
Alla fine era soddisfatta, io pure e i compagni anche (non tutti, a dire il vero... ma la media non era da depressione).
Prima di uscire sono passato dalla mensa per dire due cose alla mia collega che mi aveva dato il cambio e la biondina, stravaccata sulla sedia, mi guarda e mi fa:
- Maestro, mi porti via con te? -

Ah. Beh, le amebe immediatamente sono diventate fiori meravigliosi.


lunedì 8 aprile 2013

Sguardi d'arte: quando il quadro è l'inizio di una storia.

Quando nel 1867 Winslow Homer giunse a Parigi, la visione della pittura impressionista lo abbacinò come una rivelazione. Fino ad allora aveva dipinto ad olio la crudeltà delle trincee della Guerra di Secessione. L'America da cui proveniva - era nato a Boston - lo aveva incoronato pittore di guerra. E della Guerra era stato un reporter armato di pennello e occhio lucido.
Ma Parigi era un'altra cosa. In quella capitale splendente e crudele, ombelico culturale di un mondo ormai rigirato sulle proprie contraddizioni come una vite strangolatrice, c'era ancora spazio per l'illusione della bellezza e della modernità. Apprese così, il nostro pittore trentunenne, che la luce è materia, che l'ombra è colore, che un solo battito di ciglia ha il potere di trattenere l'impressione di un evento, una traccia emotiva, collocata ad una distanza tale dal reale da sublimarlo in qualcosa che di lì a poco si sarebbe chiamato avanguardia.
Prima di tornare in America, Winslow mise dentro le proprie palpebre e in valigia molto di quel sogno parigino. Negli spazi aperti e dilatati degli Stati Uniti, a contatto con una natura selvaggia e magniloquente in cui una borghesia dal vago sapore europeo si muoveva con apparente disinvoltura, applicò il nuovo linguaggio e ciò che nacque fu una pittura densa, luminosa, strutturata e talora retorica, ma con garbo.
Ci state ora a fare un gioco con me?
Guardate questo dipinto.


Si intitola 'Sulla spiaggia' e fu realizzato nel 1869. Io lo trovo incredibilmente affascinante. Mi intrigano le linee mosse del mare, creato per campiture sovrapposte, macchie di viola lividi, contrasti di turchesi smorzati,   toni di grigio e ghiaccio. Il mare è l'immenso protagonista, è un Oceano feroce, ritmico ma sregolato, innanzi al quale, come nel Monaco di Friedrich, l'essere umano è minuscolo di fronte alla natura maligna.

Ma  mentre nel dipinto di Friedrich la percezione romantica è tutta europea e l'uomo soggiace a questa natura sublime e crudele, in quello di Homer si avverte l'ottimismo americano, un senso di convivenza dell'individuo con le manifestazioni grandiose di un mostro indifferente alle umane miserie.

Ci sono cinque donne nel dipinto. Non vengono collocate al centro del dipinto, come il monaco di Friedrich. Entrano quasi per caso nell'inquadratura dal margine sinistro. Tengono le gonne sollevate, in modo giocoso, audace. Una di esse si china, forse a cogliere conchiglie o qualche mistero biologico che l'Oceano ha abbandonato su questa spiaggia. Il contrasto è splendido. Esse si riflettono nello specchio di luce che la battigia umida concede alle loro grazie.

Io trovo che questa sia la scena perfetta per iniziare un romanzo, una storia, un film. Qui c'è un potenziale immenso. Ci sono ben cinque sentieri da percorrere, siamo sul limite eccitante e spaventoso di un passato che sta alle spalle di queste donne e un futuro che sta per sconvolgere le loro vite. Da quel mare giungerà qualcosa, quell'immenso mostro irrispettoso sta per consegnare loro un segreto, una rivelazione che segnerà il nodo su cui quei 5 fili o sentieri si annodano.
Non siete d'accordo?

Bene, eccole ingrandite.


Le chiameremo come vogliamo, perché non sappiamo chi sono. Le loro vere identità rimangono confinate in quel lontano riflesso di battigia del 1869. Noi ci prendiamo l'arrogante diritto di ricrearle, dar loro un nome.
A sinistra c'è Emma, che solleva la gonna e si specchia. In prima fila, protesa a cercare meraviglie marine, Lindsay, la più giovane. Di lei possiamo immaginare quasi tutto, anche il colore dei capelli perché la terza, Rose, ne copre buon parte ai nostri occhi. Rose è vezzosa, dico bene? Impeccabile, coordinato il cappellino nero al vestito. La sua postura ha una tensione, quasi come se l'Oceano la respingesse. Segue Maude, di profilo, che trattiene la fusciacca della gonna azzurra contro gli scherzi del vento. L'ultima è Pauline, in avanscoperta. Ha il piglio di una giornalista.

Che cosa sta per rivelare loro l'Oceano? Cosa sta per giungere a trasformare una giornata oziosa e ventosa, un'audace e innocente aggressione di  cinque donne (o fanciulle) al vasto regno dei flutti, in un'epifania destinata a raccontarci le loro vite e il loro incredibile futuro?

Io vi lancio questa provocazione. 
Sarebbe davvero bello sentire le vostre idee, le vostre risposte, le vostre storie (anche l'inizio... quello che volete) per dare vita ad una narrazione corale, misteriosa, che dal quadro prende una vita sua, autonoma. 
Che le vostre palpebre si spalanchino, ora!
Resto in attesa!

il dipinto è conservato nell'Arkell Museum.

domenica 7 aprile 2013

Io, la danza e la bellezza dei limiti.


Ho partecipato ad un seminario di tre giorni. Un seminario tenuto da una giovane, bravissima danzatrice che da anni si avventura in quel territorio sconnesso e oscillante del teatro-danza, dove il corpo, la voce, la recitazione si incontrano, collidono o si fondono per dare vita ad una forma d'arte estremamente vitale e nuova. Sono state venti ore intensive di bellezza, fatica, piacere.
Sono stato ospitato dagli amici di Teatro InBiLiKo per i quali il seminario era un importante momento formativo e di riflessione. Il seminario era aperto anche a qualche 'esterno' desideroso di partecipare. Sono stato uno di quelli. Loro sono attori e ricercatori. Io non sono attore ma sono un ricercatore, anche se le mie ricerche sono in un altro campo, seppure affine, quello della musica.
Avrei tante cose da dire ma non ha senso dirle, soprattutto qui. Perché sarebbe noioso leggerle, essendo mie riflessioni legate al mio vissuto. Desidero, invece, condividere un'emozione nuova, che mi ha sconcertato.
Questo seminario, oltre ad insegnarmi moltissimo in relazione al mio lavoro di insegnante (applicherò e modellerò davvero tanto di ciò che ho appreso coi bambini), mi ha felicemente messo in sintonia coi limiti, i miei. E' come se i questo tour all'interno di me, percependomi come una stella marina a cinque punte capace di pulsare da un centro solare che covo alla base del ventre sotto l'ombelico fino alle sue lontane periferie, mi avesse tracciato con nitidezza tutti i limiti, cioè i confini del mio corpo ormai irrigidito. Ma nell'apprenderlo, su quei limiti ho lavorato facendoli davvero miei, curandoli, sostandoci per vedere un orizzonte che mi è in parte precluso da quegli stessi confini e che in parte è percepibile, magari non da solo ma con uno sforzo collettivo. Dal limite posso afferrare brandelli di quell'orizzonte e riportarli dentro il mio territorio.
E' stato davvero importante apprendere questo.
E' stato imparare, a 38 anni, una cosa fondamentale.
Ho sempre pensato che conoscere i propri limiti servisse a superarli. E continuo a pensarlo e a professarlo. Non sarei insegnante, altrimenti.
Ma oggi ho scoperto che ci sono limiti che, onestamente, ci fermano. Fisicamente ma non solo. Allora essi vanno compresi e curati. Il limite non è solo un ostacolo. E' anche il perimetro meraviglioso delle figure, è ciò che le circoscrive, che ne permette l'espansione nello spazio senza che lo spazio le fagociti nell'indistinto.
Laddove più oltre non posso andare, io mi siedo e curo quella linea, quella sosta ultima. Da là scopro altre direzioni, mi volto, riconquisto l'ampia area interna dove posso muovermi e dentro la quale posso far rifluire non ciò che sta fuori, ma immagini, luce, idee che da quell'oltre possono sfiorarmi, seduto vigile e attento, sul lembo più estremo di me stesso.


Silvio Boselli, I limiti

venerdì 5 aprile 2013

Memorie di un maestro precario. Ansie da prestazione.

- Maestro, martedì ci sarà il colloquio coi genitori?
- Sì.
- Ohioi, ma parlerai bene?
- In che senso? Così? - E faccio una faccia sbilenca parlando in balenese: - Vuuuostraaa fiiigliaaah èèè bruuuavaaa...
- Ah, ah - ride e poi torna seria. E' una biondina minuscola, in una classe di giganti. - No, dai, non scherzare...
- Ok, sono serio! - mi ricompongo.
- Parlerai bene di me?
- Perché non dovrei farlo?
- Cioè, mi sto comportando bene?
- Direi proprio di sì. - Nella prima pagella, effettivamente, per il comportamento era stata bacchettata. Ma si sta impegnando tantissimo per migliorare.
- Lo dirai alla mia mamma che mi comporto bene?
- Glielo dirò e le dirò anche che ti impegni tanto.
- Ohhhh sììì! - E mi abbraccia.
Dopo un po' torna.
- Mastro?
- Dimmi
- Sicuro che parlerai bene?
La osservo. Lei mi scruta dal basso, è seria. Ma non si è sentita rassicurata da me? Vado in crisi.
- Perché me lo richiedi?
- Che ne so... magari ci hai ripensato.
- Ma ti pare? Sta tranquilla
- Ohhhh siii! - E mi abbraccia di nuovo.
Se ne va. Passano dieci minuti, richiamo i bambini perché la ricreazione è finita. La micro biondina torna all'attacco. Non le do tempo di parlare.
- Parlerò benissimo di te!
- Oh siiii! - e come una cozza mi abbraccia di nuovo.
- Ma se vuoi che ti abbracci, basta chiederlo!
- Hai ragione.




giovedì 4 aprile 2013

Io, Isabella e la musica irlandese.


Care amiche e cari amici, stasera sarò ospite di Isabella Belcari su Etnica Radio nella sua bella rubrica 'That's all folk'. Si parlerà di musica irlandese. Ascolteremo bellissimi pezzi, racconteremo del fascino di questa tradizione musicale antica e ancora vitale. Suonerò un antico pezzo all'arpa celtica e per l'occasione vi faremo sentire in anteprima un inedito del nuovo disco degli Actias Luna. Se vi fa piacere, la trasmissione è in onda online dalle ore 21 alle ore 22 A questo indirizzo http://www.etnicaradio.it/.
Un abbraccio a tutte e a tutti.
Riccardo








Ode alle divinità della musica

Siate sempre amate,
divinità pietose che ci avete
concesso
la musica.

Siate sempre rispettate,
perché più del cibo
e dei colori,
ci avete donato
del suono
la bellezza.

Perché nel suono
si rispecchia e si vede
anche il cieco,
perché il suono
nel suo accordarsi
è l'abbraccio
a cui non si oppone
resistenza.

Siate onorate,
divinità trasparenti
della musica,
siate onorate,

Perché nella grande
sintesi delle armonie
e nella sinuosa danza
solitaria della melodia,
noi mortali troviamo
tutto. Il tuono
e la distesa di erbe
nel maggio
che fiorisce.

Siate pietose ancora,
divinità celesti e misteriose,
e datecene ancora e ancora,
perché del cibo ci si sazia,
del colore ci saturiamo,
della musica
saremo sempre
in eterna astinenza.



martedì 2 aprile 2013

Haiku del mio amore

Haiku del mio amore

Se sei tempesta,
affonda le tue nubi
qua, nei miei flutti.


La politica italiana, ora, e il simbolismo.

Se volessimo addentrarci nella 'foresta di simboli' che ci circonda, sarebbe fin troppo facile cogliere parallelismi fra la natura e la politica italiana, e non solo italiana, di questo periodo.
      C'è una primavera che tarda a venire ed anzi, una coda invernale che si prolunga inzuppandoci di una pioggia eterna, che ci raggiunge nelle ossa e nella mente. Una pioggia interiore, ormai, che nemmeno i radi scorci di sole riescono ad asciugare.
Se provassimo a riformulare questo pensiero articolato in due periodi sostituendo solo i termini, potremmo scoprire sorprendenti analogie. Proviamoci.
     C'è un cambiamento politico che tarda a venire ed anzi, uno strascico di vecchie abitudini che si prolunga avvelenandoci di una cattiva politica eterna, che ci raggiunge nelle istituzioni e nella mentalità. Una cattiva politica interiorizzata, ormai, che nemmeno le rade comparse di autorevolezza riescono a smorzare.

      Lo scenario naturale si compone, al momento, di tre strutture elementali che lo rendono monotono.  Quando la monotonia si rompe, l'elemento di rottura provoca solo aggressioni ad un equilibrio di per sé strutturalmente precario, con effetti solo peggiorativi. Il primo e il secondo elemento giocano un ruolo determinante nella staticità, sono determinati ormai da una stessa consistenza liquida e gassosa, si alternano in  forme di nubi dense, piogge torrenziali, smottamenti. Il terzo elemento appare come un raggio di sole, ingannando l'osservatore. In verità il sole è un effetto poiché quel terzo elemento è solo un vento che smuove le nubi, sospende la pioggia solo per poi farne cadere molta di più.
     Lo scenario politico si compone, al momento, di tre grandi aree di riferimento che lo rendono statico. Quando la staticità si rompe, l'area che si propone come innovativa si produce solo in aggressioni ad un sistema di per sé strutturalmente inefficace, con effetti peggiorativi. Il PD e il PDL giocano un ruolo determinante nel ristagno politico, sono connotati ormai da uno stesso approccio populistico o inconsistente, si alternano in reciproche minacce, critiche non costruttive, fratture interne. Il movimento 5stelle appare come una novità ingannando l'elettorato. In verità la novità è solo un effetto (non è sostanziale) poiché questo movimento è solo una corrente demagogicamente distruttiva che si fa largo fra le già sterili minacce, si fa spazio fra le critiche per poi accentuarle.

Chiudo questa riflessione delirante con un dipinto che reputo davvero emblematico per esprimere anche con l'arte, l'inquietante stato confusionale del nostro paese. Voi cosa ne pensate?

Quentin Metsys, Allegoria della Follia, 1510 ca., Collezione Privata.

lunedì 1 aprile 2013

Livorno e Fiametta

Pubblico volentieri questa bella elaborazione fotografica di Giovanni Balanesi, un amico capace di cogliere l'insolito nell'evidenza del quotidiano. Trovo che saper individuare, esaltare, analizzare i dettagli estrapolati dall'insieme complesso che ci circonda sia un dono davvero prezioso ed utilissimo. In questo modo, l'autore ci suggerisce una porta di accesso grazie alla quale è possibile penetrare diversamente le cose, cogliere relazioni, leggere il mondo con chiavi di lettura rinnovate. Grazie Giovanni e benvenuto.
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