lunedì 30 settembre 2013

Un'idea della politica utopistica?

l fatto che noi italiani non ci stiamo minimamente preoccupando per la crisi di governo può dire una serie di cose, non compatibili l'una con l'altra:
1 che siamo i soliti superficiali
2 che siamo talmente immersi in una crisi perdurante, anche di tipo
governativo, che non percepiamo alcuna modifica sostanziale tra prima
e dopo crisi del governo.
3 che abbiamo priorità impellenti, tipo sopravvivere, per cui ormai
abbiamo tirato i remi in barca consapevoli che il Paese e il suo Governo
sono due entità distinte.
4 che solo una guerra, una catastrofe, una pericolosa scintilla possa
radere al suolo questo stato incivile di cose.
5 che siamo più profondi di quanto si pensi, che diffidiamo dei movimenti e
del concetto banale di 'democrazia partecipat(iv)a' ma che al contempo
non sappiamo come credere nella 'democrazia rappresentativa' visto che
non ci rappresenta per nulla.
6 abbiamo capito che nemmeno il potente strumento della manifestazione
di piazza sortisce più alcun effetto dal momento che quelli contro cui
protestiamo sono i primi a dire: bravi, fate bene a protestare. E'
democratico protestare.... e con questa retorica della democrazia ormai
sciorinata in ogni dove e senza cognizione, i politici sono riusciti nella
titanica impresa di demolire il senso altissimo e spinoso di quel concetto.
7 ci appelliamo alLa Costituzione così come ci si appella alla Bibbia.
Affermiamo il vero nel dire che è un testo luminoso, combattiamo per
difenderla ma poi? Non siamo capaci di tradurla nel quotidiano,
modernizzandone le istanze scritte più di 60 anni fa. Come se essa
valesse solo per i politici. Predicando bene e razzolando male. Proprio
come la Bibbia appunto.
8 abbiamo bisogno dei rottamatori, dei guru, di quelli che ci dicono che
'bisogna agire e non parlare'. E nessuno dice che prima di tutto bisogna
'pensare'. Perché agire senza pensare è come parlare senza fare. E
quando dico pensare dico: riflettere, meditare, analizzare, compenetrare,
assorbire in profondità, avere lungimiranza.

Io voglio un paese guidato da una classe intellettuale fatta di teste etiche e pensanti. Che non accontenti 'la gente', orribile concetto quello di 'gente'. Così si va nel populismo, nella demagogia facile, e su quel fronte abbiamo già ampiamente dato. Necessitiamo di una cosa alta, di una istituzione illuminante. E nemmeno abbiamo bisogno di una politica che nasca dai movimenti di base poiché questi servono a punzecchiarla la politica, e fanno benissimo, servono a metterla di fronte allo specchio perché si ravveda se non si attiene ai programmi, ma non devono avere pretese di sostituirsi a chi deve guidare. Perché una classe dirigenziale dovrebbe avere competenze, specificità e qualifiche tali da non rendersi intollerabile e disgustosa a tal punto da farci pensare di poterci sostituire ad essa.
La vera politica, che io vorrei, è quella che si fa carico dei bisogni primari della cittadinanza tutta, ovvero la sanità per tutti, l'istruzione per tutti, i diritti sacrosanti del lavoro. Che garantisca i diritti civili in senso moderno, senza alcun retaggio religioso ma mossa da una percezione umanistica e inoppugnabile dell'essere umano e dell'ambiente come 'entità' di rispetto integrale. Punto. Di lì in poi si entra nel nulla, o nel dettaglio.
La politica, una volta presasi cura di questo, deve innalzare la cittadinanza, migliorarla, aprire le teste, indicare orizzonti nuovi e alti. Non deve, viceversa, ascoltare quell'informe borbottio qualunquista che chiamiamo 'gente' e agire di conseguenza. Per quella via, si è visto quali catastrofi, perché di catastrofi si tratta, siamo stati capaci di raggiungere.

Quest'anno leggerò ai miei alunni la Costituzione e farò in modo che capiscano che il primo luogo dove essa deve essere applicata è la nostra classe, il nostro paese, il nostro spazio vitale quotidiano. Solo quando saremo cresciuti nell'assorbimento forte e profondo di quel testo, torneremo ad avere il diritto (che tutti abbiamo perso, tutti!) di lamentarci o di ignorare anche questa ennesima crisi di governo.


mercoledì 25 settembre 2013

Memorie di un maestro precario: saluti, pigrizie, pronomi, parolacce e Paolo Uccello.

- Maestro, non mi hai salutato nemmeno stamani! -
- Ma veramente ti ho detto buongiorno, sei tu che non mi hai sentito. -
- Eh no, io sento tutto e non me lo hai detto. -
- Ma come? -
- Dimmelo, su, dimmi 'ciao' -
La guardo, minuscola come lo scorso anno, ma tenace e guerriera. Le sorrido:
- Ciao! -
Allora mi abbraccia forte e poi mi guarda seria:
- Domani non te lo scordare! -
Si allontana con le sue amiche.

- Maestro, quando si mangia? -
- Tra un po', ora concentrati. Stiamo facendo grammatica. -
- Ho fame. -
- Bene, analisi grammaticale di 'Ho fame' - Lo fisso severissimo.
- No, no, scusa, mi ero sbagliato. Anzi, non ho fame per nulla! -

- Allora, ripassiamo i pronomi personali. -
- Maestro, - alza la mano Distrattoconfuso, - NI dici a questo qua, - indicando un compagno molesto, - di stare zitto? -
..... pausa dolente del maestro.
Silenzio.
La classe mi guarda. Lui mi scruta e mi vede tentennare nel mio ruolo. Non capisce.
- Maestro? - mi invoca, vuole che prenda posizione sulla sua richiesta. Effettivamente Sfasatosensibile lo ha tormentato per più di dieci minuti.
- Va bene, - inizio, - NI dirò qualcosa. -
- Bravo. -
- Posso chiederTI una cosa? -
- Certo maestro, sono qui per TE. -
- Quel NI, cosa vorrebbe dire? -
- A lui, pronome personale no? Non si stavano ripassando? -
Sono molto soddisfatto.

- Maestro, quel bambino mi ha detto che sono una gran figlia di Puttana - piangendo.
- Oh, - esclamo contrito e imbarazzato, circondato dal carosello di colleghi e alunni della ricreazioni in giardino, - intervengo subito ma non occorre ripetere queste parole. -
- Ma se non te lo dicevo e che so.... ti venivo a dire: 'quel bambino mi ha detto una brutta parola', mi rispondevi che non era nulla di grave. Tanto ti conosco. -

- Maestro, quando noi saremo grandi tu sarai già morto! -
Aridaglie! Già lo scorso anno era saltata fuori questa cosa. Non potendo fare alcun tipo di scongiuro poiché sarebbe alquanto diseducativo, mi lancio sul professionale sconfinando nell'area di Giulia, la mia collega di scienze e matematica.
- Scusate, bambini, ma se io ho 38 anni e voi 10, quando voi avrete la mia età....-
- Oh mio dio no! - Esclama Provocatricecritica, - non iniziare anche te con i problemi ora! Va bene, va bene, non morirai, sei contento? -

Guardiamo intensamente la scena di San Giorgio e il drago di Paolo Uccello. Li ha incantati. Si susseguono, no anzi, si accavallano, le loro osservazioni, le opinioni, le letture.
- Maestro, - dice Altissimagentile, - questo quadro mi piace. Sembra di stare dentro una fiaba. -
- Hai proprio ragione, anche a me fa questo effetto. -
- Ci sono molti particolari, - aggiunge Provocatricecritica, - e le nuvole a destra fanno  paura, aumentano la paura! -
- E anche la grotta! - Aggiunge Pignoloridente, - mi fa un po' ansia! -
- Ma sulle ali del drago ci sono delle decorazioni - Esclama Biondinatenace.
- Sembra un pavone, il pittore ha voluto rendere bello tutto in questo quadro, anche il drago! - osserva Scrittriceloquace.
Ah, se Paolo Uccello avesse saputo quali occhi attenti e profondi avrebbero guardato il suo capolavoro! E se solo gli storici dell'arte, ogni tanto, ascoltassero i bambini!




lunedì 16 settembre 2013

Perché non amo il Piccolo Principe.

Stasera ho capito perché non amo il Piccolo Principe.
Perché è scritto con l'intento di insegnare, di dare messaggi. Quando incappo in un libro scritto programmaticamente per fare questo, anche se intriso di poesia, io sento puzza di presunzione. Sottrae alla casualità dell'incontro, dal quale si impara e si apprende inaspettatamente, l'aspetto più bello e importante: il caso, appunto.
Nel libro di Saint- Exupery tutto è stato pensato a priori, lo stereotipo abita sotto i personaggi dell'incontro e sovrasta la loro valenza simbolica. Ad ogni passo, l'autore sembra dire al giovane lettore: ecco, ora ti sto insegnando qualcosa sulla vita! Ecco, questa cosa così ben detta devi farla tua, ci devi cavar fuori una lezione.
Diffido degli scrittori dell'infanzia che sono convinti di essere così vicini ai bambini da potergli insegnare cose sul mondo....
Uno scrittore che scrive per i ragazzi, deve innanzi tutto pensare di essere lui il primo ad imparare qualcosa, consapevole del tragico evento che risiede nell'essere cresciuto, inesorabilmente. C'è una distanza incolmabile fra lui e quel regno inquietante che si chiama infanzia. Anche il moralistico Collodi, nel concepire quel capolavoro ambiguo e potente che è Pinocchio, era partito con l'intenzione di educare... ma qualcosa gli sfuggì di mano. Grazie a Dio. Pinocchio incappa nel male, inciampa, fa incontri, incontri luminosi e incontri terrificanti. Prova ad imparare ma non vi riesce sempre. Anzi, ricade nel proprio errore. Chi lavora coi bambini sa che questo è vero. Il suo viaggio ha realmente in sé la forza formante della casualità.
Nel mondo mieloso e programmato del Piccolo Principe, invece, noi adulti ci gongoliamo perché attendiamo ad ogni tappa cose che già sappiamo e che, se devo dirla tutta, non sono nemmeno così vere.


sabato 7 settembre 2013

Digiunare, perché?

Mi intristiscono i digiuni.
Sia che siano religiosi sia che siano simbolici. 
Nel primo caso, c'è da chiedersi perché mai un Dio che permette una guerra (perché o 'sto Dio ci ha dato la libertà o ce la fa gestire a singhiozzo secondo l'estro, il che andrebbe chiarito) dovrebbe poi ripensarci impietosito da alcuni fedeli che per un giorno non mangiano; nel secondo caso, mi sembra che sia di cattivo gusto che un buon borghese occidentale si conceda il lusso di non mangiare per un giorno per esprimere dissenso verso il 'silenzio dei potenti'. 
Quando sento dire che digiuniamo perché siamo contro la guerra in Siria (ed io lo sono, fermamente, si intenda), mi viene da accostare queste due immagini, e chiedere: non sarà che per lenire il fastidio della prima (delle immagini che, ahimè, sono tragica, insopportabile realtà), dimentichiamo la seconda (altrettanto terribile e atroce?). 

Forse dovremmo scendere in piazza e gridare, perché il silenzio sbagliato si abbatte con le grida e con l'agire. 
Non con una dieta giornaliera. 
Perdonatemi, ma sento questo. 
Se sbaglio, aiutatemi a capire.
E' bello sentire la fatica quando sai che va nella direzione giusta. Quando fai un lavoro che, nonostante le umiliazioni costanti e latenti del precariato, vale comunque la pena di quella fatica e di quelle umiliazioni. 
Ripartiamo, anche quest'anno, ma per me c'è un'emozione in più. La continuità.
Provo per la prima volta la sensazione confortante di essere nella stessa scuola, ritrovare colleghi stimati, relazioni già avviate e soprattutto i nostri 24 bolidi furenti, fiori del bel giardino misterioso che, almeno quest'anno, non ho dovuto abbandonare.
E' come sapere di partire per un nuovo viaggio con una ciurma conosciuta. Ma gli orizzonti si allargano e le terre da esplorare si fanno ancora più estese. 
Di nuovo in viaggio per mare, di nuovo in ascolto, di nuovo a coltivare. 
Bello, bello sentire questa magia. 
Questa voglia di iniziare. 
Questa voglia di primo giorno di scuola.

Questo bel dipinto di Bruegel sembra esprimere compiutamente il senso di quello che sento, ora. In primo piano la certezza di una terra sicura, dove arare diviene parte di una procedura conosciuta eppur sempre modellabile, mutevole. Un contadino coscienzioso sa che le stagioni si trasformano così come muta la terra e che il proprio bagaglio di conoscenza va al servizio di quei cambiamenti, ad essi si adegua senza imporsi. Seminare significa comprendere il cambiamento e saperlo rendere fecondo.
Da questa balza sicura si spalanca l'orizzonte di un nuovo viaggio: il vascello è pronto, manca solo di issare l'ancora. Isole, scogli, sole e nuvole tempestose. Questo è lo scenario che accoglie il nostos, il viaggio. Un'esperienza antica e necessaria. Per affrontarlo, in quella barca stiviamo ciò che si è seminato e raccolto. Lo portiamo con noi. Quello ci servirà a sopravvivere, a vivere, ad andare avanti. Si parte alla ricerca di nuovi semi, nuovi pigmenti e spezie da riportare. Perché la nostra stiva sia sempre ricca, in crescita, pronta ad accogliere.
E se l'orizzonte ci invita, noi andiamo. 
Senza paura. 
Ma con molta emozione.