venerdì 19 luglio 2019

LA MIA STAGIONE DELLA VOLPE


Mi capita ormai da anni di incontrarla spesso.
A bordo della strada, che attraversa, che si infratta nei cespugli, persino mentre passeggio nei campi presso l’Ozzeri in pieno giorno.
Non c’è giovedì notte che io, Stefano e Valeria, di ritorno dalle prove di teatro a Vico Pisano, non la incontriamo. È la volpe.
Un animale che mi è sempre più caro. A cui penso sempre più spesso.
Ieri sera, per l’appunto, non ci ha attraversato.
Sian tornati da Vico e non l’abbiamo vista.
Né all’altezza dei boschi di Caccialupi, né lungo le curve del Compitese, nemmeno sul drittone del sotomonte. Non si è fatta vedere.
Poi sono entrato in corte e, come per incanto, eccola. Si aggirava proprio davanti casa.
Come sempre, furtiva, se ne è andata illuminata dai fari della macchina.
In questa mia stagione di vita, penso che la Volpe sia il mio animale. Il mio animale guida.
Mi rappresenta.
Inquieta, mai pacificata, osservatrice. La sua espressione ansiosa deve ricordare un po’ la mia.
Voglio bene alle volpi. Ora che mi accingo ad un viaggio in Giappone, scopro che la divinità del riso, della fertilità e del successo (il kami) Inari è annunciata dalle volpi.
Nulla è casuale.
Così pensando, mi sono detto: ma se questa stagione è quella della volpe, le altre stagioni della mia vita a quale bestia son state consacrate?
Il primo animale che ho disegnato è stato una balena. Le balene hanno popolato (con le meduse) la mia infanzia. Ho avuto – dunque - una prima fase ‘balena’.
Poi, verso i 6 anni, entrai nella ‘stagione delle libellule’. Le libellule mi hanno ossessionato per anni. Anche ora vado a scovarle e a fotografarle, perché la loro raggiante bellezza è per me un miracolo di perfezione ed armonia.
Credo che l’adolescenza sia una fase senza animali specifici per me. Li amavo tutti, incondizionatamente. Anzi, no: devo avere avuto in quel momento una fase ‘pitone’ a seguito dell’innamoramento per il romanzo ‘Il libro della Jungla’. Da lì deriva il mio amore per i serpenti, credo. Ed una veloce ‘fase farfalla’ verso i 20 anni. Anche quella posso mettere in conto.
Poi sono ritornate le balene. Sì, ho avuto una lunga seconda ‘stagione delle balene’ dai tempi dell’Univeristà ai miei Trentanni.
Ora sono nella fase della volpe.
Mi piace pensare di essere passato lentamente attraverso la placida immensità degli oceani all’aria veloce e sospesa sopra gli stagni per poi aver strisciato nelle foreste pluviali ed infine aver conquistato la dimensione terrena, inquieta ma a me familiare, della maturità.
La lentezza pacata della mia infanzia mi manca. Ora tutto travolge e mi trasmette un senso di inquietudine. Ma non posso non amare questa ineluttabile fase. Come non posso non amare la volpe.
E voi? Avete anche voi delle fasi animali della vostra vita? Ce le raccontiamo?
Maestro delle Balene.

martedì 5 marzo 2019

IL BAMBINO PUNGITOPO le metafore pungenti dell'infanzia.

Stamani dopo essere stati nel bosco a osservare, ascoltare ed odorare l’Inverno che se ne sta andando prima del tempo, siamo andati alle nostre 4 aiuole stagionali. Simonetta, la mia collega esperta di piante selvatiche, di fiori di campo, di semi e di ogni forma di grazia e bellezza vegetale, ci mostrava il magico rifiorire della vita e il falso morire dell’inverno. Noi ascoltavamo, scoprivamo la ‘piccola’ foresta inferiore, dove si affacciano scorci di viola feroce, di pervinca e di giallo, dove ciò che marcisce alimenta un brulicante senso di rigenerazione costante. E’ il tempo prematuro delle violette, dei narcisi. I tulipani sbucano anzitempo nell’aiuola di primavera mentre ancora l’elleboro, nell’aiuola d’inverno, fa mostra delle sue turgide fioriture verdi.
Proprio mentre eravamo seduti intorno all’aiuola più sorprendente, quella d’Inverno, con gli iris screziati, gli ellebori e i pungitopo, il calicanto prossimo ad aprirsi, accade una cosa. Una di quelle epifanie a me tanto care.
Quando vedi le cose, scorgi una verità.
Capisci qualcosa di te e di chi hai di fronte.
Lui è un bambino tostissimo. Difficile. Capace di sovvertire l’equilibrio. Di romperlo. Una delle sue modalità ricorrenti è la provocazione. Il suo centro è lui e una richiesta costante di attenzione e di affetto, sostenuta dalla sua intelligenza, ne fanno un disturbatore senza pari. Da Settembre ad ora è riuscito a portare me e la mia collega a stadi di esasperazione davvero alta. Ho avuto le vene in fronte e nel collo per attacchi di rabbia come poche volte mi è successo nella mia carriera.
Eppure sappiamo che soffre.
Che la sua rabbia e la sua energia senza argine hanno origini in una zona di ombra dentro di lui, è un modo per reclamare il suo diritto di esistere. Esistere a scapito di tutto e di tutti.
Del resto le aiuole stagionali ci ricordano che ogni essere desidera esistere a scapito di tutto e di tutti.
Bene.
Questo provocatore piccolissimo si incaponisce di sapere il nome di una pianta che Simonetta sta illustrando.
- E’ il pungitopo.
- No, ascolta, - risponde con gentilezza lei, - questa pianticella non è il pungitopo.
Lui insiste finché comprende che si è confuso con l’arbusto accanto a quello di cui stavamo parlando.
- questo è il pungitopo, - dice il bambino indicando il vero pungitopo. Le sue bacche rosse attaccate alle foglie ostentano la propria singolarità, - è la mia pianta preferita.
Mi scappa un sorriso ed una battuta:
- E ci credo, ti ci vedo proprio come pungitopo.
Lui si fa serio, lo sguardo è umido.
- Sì, - dice con una spiazzante calma malinconica, - è come me, pungente.
Pungente.
Anche i compagni lo guardano. E’ l’epifania.
Lui non guarda nessuno.
Io e Simonetta ci scambiamo uno sguardo complice e sono sicuro che lei sta provando quello che provo io. Abbiamo sentito quella tensione che si fa liquida, spezzandosi nella testa per farsi commozione. A volte capita a noi maestri e quando capita proviamo un senso di profondo smarrimento misto ad ammirazione. Questo stato emotivo, per cui ti smarrisci nell'ammirazione, non ha un termine preciso nel vocabolario italiano per definirsi. Però esiste. ed è una cosa potente e strana.
- E’ bello quello che hai appena detto, - dico.
- Non è bello, - ribadisce lui.
- Non c’è niente di male nell’essere pungenti. Saperlo riconoscere è una cosa bella e importante.
Questo forse lui non l’ha capito anche perché, diciamocelo, quando è pungente, ripetutamente pungente, non riceve di certo apprezzamenti.
Eppure quella sua capacità di cogliere la metafora che la sua pianta del cuore gli offriva ci ha messi, per un breve istante, in una forte sintonia.
L'ho ammirato profondamente smarrendomi in questa ammirazione.
Può una cosa pungente, capace di produrre bacche meravigliose, essere una bella cosa?
Sì. Restituire al pungitopo il suo ruolo nell’insieme dell’aiuola, farlo splendere della sua bellezza senza che il suo essere pungente sia una minaccia ma solo una caratteristica, ecco….
So che è là che dobbiamo tendere.
Proteggere i pungitopo da se stessi, dalla propria pungente natura, e riconsegnarli alla bellezza dell’insieme.
Maestro delle Balene

sabato 2 febbraio 2019

I RITRATTI DI COSCIENZA



Ci sono ritratti che ci guardano realmente, perché sono stati fatti per scrutare l'umanità eternamente. 
Io li chiamo ritratti di coscienza. 
Non tutti i ritratti lo sono. 
Faccio per dire, la Gioconda non lo è e nemmeno i bei ritratti di Bronzino. 
Il che non significa che siano brutti, la Gioconda e i ritratti di Bronzino. Solo che 'i ritratti di coscienza' nascondono un incantesimo. 
Vi è stato infuso un potere speciale, quello di mantenere aperto un varco di sguardi fra l'effigiato e chi lo guarda. In questo modo si ha l'impressione che gli occhi curiosi ed umanissimi di un uomo vissuto quattro secoli fa continuino a vedere chiunque passerà davanti a quella finestra di tela nei tempi a venire. 
Stupendosi, studiando i mutamenti della stirpe degli uomini, quei personaggi rimangono persone.
Sì, perché quasi sempre le persone ritratte secoli fa finiscono per divenire personaggi (come la Gioconda, come gli enigmi di Antonello, come i sublimi effigiati di Velasquez o di Vermeer).
I ritratti di coscienza no, quelli rimangono persone. Per sempre.
E questo li rende speciali.
Incappare in uno di questi misteri del tempo, in un Museo che li decontestualizza e al contempo li isola potenziandone il senso di incanto, è un'epifania potente e commuovente. 
Mi troverete spesso là, in un museo, di fronte ad uno di questi scioccanti specchi dell'anima. Magari sorriderò o piangerò, ma farò fatica a venir via.
Fra i molti ritratti di coscienza che da sempre mi commuovono e mi fanno percepire assieme la fragilità e la grandezza dell'uomo, questo di Giorgione è uno dei più belli e misteriosi. 
Cosa penserà questo bel giovane, malinconico ma non sconfitto, colmo di pensieri ma non appesantito dalla sua anima, di noi umani del 2019? 
Non lo so, ma sento delle affinità con lui. 
La percezione di una indole ballerina dell'umanità, di un perenne disequilibrio che ci rende costituzionalmente inquieti e irrisolti, abitanti di epoche crudeli, dove le ombre prendono il sopravvento sulla linea breve di taglio della luce del mattino.

Maestro delle Balene

Giorgione, Doppio ritratto, 1502 circa.
Roma, Museo di Palazzo Venezia.

venerdì 25 gennaio 2019

Arrivati dal Mare. I bambini e i migranti. Questione di coscienza e di memoria.

Non lo so se va bene. Ma ci provo.
Oggi racconterò ai bambini questa storia. 
Si ambienta nella Grande Valle che con mie colleghe abbiamo creato per far nascere storie di animali e creature che aiutino i bambini a imparare a scrivere e fare di conto.
Domenica sarà il giorno della memoria.
Credo che gettare semi di memoria sia un atto di coscienza.
Creare coscienza del presente è indispensabile per accogliere la memoria.
Sono piccoli i nostri allievi ma possono iniziare a prendere coscienza.
Sicché come urgenza, come militanza civile e didattica, ho sentito con le mie colleghe di creare questo racconto.
Che parla di migranti, che parla di accoglienza.

Bisogna agire.
In modo profondo ed alto.
Chissà....

IL Maestro delle Balene


 

 

 

 

 

lunedì 21 gennaio 2019

Insegnare oggi, in Europa. Bagnati da un mare pieno di morti.

Stamani ho avvertito i bambini.

Hanno tutti 6 anni, eccetto una anticipataria di 5 ed uno, il più vecchio, di 7 freschi freschi di compleanno.

Li ho avvertiti che sarebbe iniziata una settimana strana, non proprio piacevole forse.

Che domenica prossima sarà la giornata della memoria.

Che ricorderemo cose difficili da ricordare e dolorose da tenere a mente.

Ma ho anche detto loro che nel prepararci a ricordare, dovremo affrontare il presente.

Il presente che viviamo, ora, non è bello. E' seminato di dolore.

Ho chiesto chi sapesse osa stava accadendo nel mare che bagna la nostra penisola.

Pochi lo sapevano, solo in tre.

Forse sono stati protetti da quel dolore.
Forse qualcuno non se ne accorge di quel dolore e allora nemmeno si pone il problema di sottoporlo o meno alla riflessione dei propri cuccioli.
Forse, nella distrazione pluristimolata del tempo corrente, qualcuno non se ne è accorto perché accade anche che non ci si accorga più nemmeno dell'orrore.

Ma io sono un insegnante.

Mio malgrado, sono una sentinella di memoria.

Non posso permettere che questo dramma scivoli via. Non lo farei mai, ancor più in questi tempi in cui si istituzionalizza tutto, anche la memoria.

Perché rischiamo di perderla.

Ho preso un libro. Bellissimo. Lo tengo nella rocca biblioteca di classe.
Si chiama ' IL VIAGGIO' ed è un'opera di Francesca Sanna, autrice e illustratrice dal tratto poetico,
capace di investire temi coraggiosi di un'epica intima ma sincera.
I bambini hanno ascoltato e osservato con silenzio devoto.

Li ho visti impauriti.
Commossi.
Si parla di famiglie che stanno bene, serenamente in una città di mare.
Di guerra che giunge a portare via tutta quella vita normale.
Di padri che muoiono.
Di madri coraggiose che prendono i figli e li portano via, via dal dolore. Verso mete lontane, a Nord.
Viaggi pericolosi, incontri sgradevoli.
Attraversate in mare angosciose, dove l'unica cosa che può aiutare è il sogno, la prospettiva immaginifica di quella terra sconosciuta capace, forse, di accogliere e ripristinare il futuro.

Confini da passare, muri da scavalcare, guardie da eludere.

Cosa sono i confini? Mi chiedono i bambini.

Sono barriere, sono linee immaginarie che gli uomini rendono pesanti e concrete. C'è chi sta di qua e chi sta di là.

Sono un brutta cosa i confini?
Sì, ora sono certo di non sbagliare a dire loro che sì, i confini sono una brutta cosa.

Una luce di bellezza e di ristoro da tanto dolore è comparsa dentro di noi quando, quasi alla fine del libro, Francesca Sanna disegna uno stormo di uccelli che vola sopra il treno. Il treno che, infine, porta i protagonisti verso una meta che non sapremo mai se verrà raggiunta. La bambina protagonista guarda quegli uccelli e dice:

'Gli uccelli stanno migrando proprio come noi. Anche loro devono fare un lungo viaggio, ma non devono superare nessun confine.'

Ecco, io voglio un mondo senza confini.
Non lo vedrò, lo so.
Ma spero di contribuire in qualche modo perché le persone del futuro possano farcela a cambiare le cose.
Si buttano semi.
Il che non è cosa semplice e indolore.
I semi germineranno solo se non risparmiamo il dolore ai nostri bambini.
Il dolore è un nutrimento necessario.
Esistono modi garbati eppure efficacissimi per parlarne.
E dobbiamo farlo.

Cosa è la memoria?
E' il presente. Le persone morte ieri in mare sono già memoria.
Se non siamo capaci di comprenderlo, allora seminiamo male. E saremo cancellati.
Chi coltiva la memoria, coltiva il presente e fa in modo che non si sbiadisca.

Chissà se un domani, nella memoria di qualcuno dei miei allievi, la lettura di stamani sarà rimasta, se avrà un posto in quella radice forzuta che abbiamo dentro e dove si annidano le cose importanti che ci fanno agire.

Io me lo auguro.
E intanto costruisco coi miei colleghi e i nostri allievi percorsi di coscienza.
Nel dolore. Anche nel dolore.

R.M. Il Maestro delle Balene