Possiamo decidere che oggi sia solo una festa religiosa che ci racconta la resurrezione oppure attingere a questo simbolismo arcaico e profondo per allargare il senso del discorso. Perché la Pasqua non cade casualmente nel momento liminare del trapasso fra l'Inverno morente e la Primavera che sorge. Anzi, c'è un nesso profondo fra il rito degli uomini e quello della natura. Possiamo cogliere un invito a rigenerare le forze, il pensiero, la nostra capacità di azione per incidere nel mondo reale.
Quando le Pie donne, percorrendo un sentiero sassoso, giunsero al sepolcro e lo trovarono aperto, le prospettive della loro vita mutarono improvvisamente. Le aspettative deluse ebbero nuovamente luce, il panorama del futuro, che sembrava inequivocabilmente sigillato, fu come un'immensa palpebra che si riapre sull'orizzonte. Possiamo decidere che questo terribile, complicato e inestricabile momento storico funzioni come una Primavera. Laicamente ma anche spiritualmente, possiamo prendere l'immensa morte che ci circonda (morte della politica come l'abbiamo vissuta fino ad ora, morte della società del consumo sfrenato, morte dei miti che ci hanno accompagnato) e riconvertirla in un'aspettativa che va alimentata e infarcita di buone cose, di azioni efficaci, di senso civico rinnovato. Lontano dalla sterile critica, alimentati da un pensiero complesso capace di cogliere una visione allargata, generale ma profonda, possiamo farcela. Ce lo dice la Pasqua se siamo cristiani ma, per chi come me non lo è più, ce lo dice una stretta di mano rituale ed antichissima fra una stagione che muore ed una nascente.
Bartolomeo Schedoni, Pie donne al sepolcro, 1613, Galleria Nazionale di Parma