Stamani mi sono finalmente emozionato. Profondamente, intensamente. Mi sono anche commosso ma non me ne sono fatto accorgere. Mi ha fatto bene.
E' accaduto che finalmente - spero - abbiamo stappato la scatola di Pandora. La classe sismica in cui insegno quest'anno, affascinante quanto problematica e oppositiva, mi ha fatto un regalo bellissimo. Mi ha mostrato una bellezza e un orizzonte dentro il quale, finalmente, sento di potermi muovere.
Devo ringraziare le divinità della poesia, quelle misteriose essenze che ci attraversano e mettono in comunicazione la parte spirituale di ciascuno col mondo circostante. Quando questo accade e - soprattutto - quando a farlo accadere sono i bambini, questa connessione diventa spaventosa, luminosa come una supernova esplosa intorno a te. 
Come facciamo sempre, iniziamo nell'Agorà con una breve chiacchierata. In genere racconto qualche storia oppure spiego ai bambini come articoleremo la mattinata. Molto spesso mi arrabbio un bel po' con i solito furbi, fautori del cos, che cercano sempre di spaccare questo mio tentativo di armonizzare e tranuqillizare il gruppo. Stamani erano  rilassatii. Era come se ci fosse un caminetto caldo nell'agorà intorno al quale riuscivo a parlare sottovoce senza bisogno di torturare ulteriormente le mie corde vocali ormai sfilacciate.
I bambini hanno accettato di buon grado di fare un po' di esercitazione di grammatica. Qualche protesta c'è stata ma la rilassatezza e la stanchezza ha avuto meglio sui molti partigiani della svogliatezza e così i tanto detestati aggettivi qualificativi hanno avuto la loro mezzoretta di gloria.
All'improvviso oltre i vetri delle tre altissime, immense finestre dell'aula ecco che inizia a cadere la neve. Lascio immaginare quale sisma si sia improvvisamente scatenato nella classe. Esultanza, grida, abbracci. Tutti alla finestra. Li ho lasciati fare, perché era giusto così. Quella della neve, nei bambini, è un'emozione meravigliosa, ancestrale, profonda. La neve rappresenta un rito antico che si manifesta a sorpresa e sconquassa la quotidianità. Anche gli aggettivi qualificativi hanno compreso e mi hanno sorriso dalla lavagna con accondiscendenza: - Lasciali fare, non t’azzardare a richiamarli! Saresti uno stronzaccio. Stronzaccio, ovvero aggettivo qualificativo maschile singolare alterato in senso dispregiativo.
Ho seguito il consiglio poi ho chiesto ai bambini di sedersi e di guardare la neve come se le tre finestre fossero grandi quadri. Ho spento la luce e siamo diventati sagome scure contro il nitore dell’Inverno. Poi ho messo la musica. La compilation con pezzi che ho scelto per richiamare la calma e distendere la classe. Il secondo movimento della settima sinfonia di Beethoven e una antica melodia celtica ci hanno accompagnato in quel momento di contemplazione.
A quel punto è arrivata la poesia.
- Ragazzi – ho detto – Scriviamo un Haiku dedicato a questo momento. Facciamolo assieme.! –
Abbiamo ripassato velocemente la regola delle 17 sillabe, poi è nato il nostro Haiku della neve:

                                               Cade la neve
                                               il bianco si distende
 sopra i tetti.

Ad esso ho fatto seguire uno dei tre Haiku che ieri, in un momento di rilassatezza avevo dedicato a tre bambini che disegnavano con me. Ho scelto quello più forte, dedicato ad una delle allieve più toste, la Bambina Rabbiosa che chiamo Provocatrice.
                                               Occhi profondi,
                                               come mare in tempesta.
                                               Rabbia e gioia.

-         A questo punto – ho detto – sbizzarritevi. Scrivete Haiku! –
-         Ma come? – Chiede l’Insicura dai capelli di grano.
-         Fidati. – Le dico – All’inizio sembrerà difficile e poi prenderete il via e non vi fermerete più. Rispettate la regola delle 17 sillabe, il resto verrà da solo! –
-         Ma su cosa dobbiamo fare questi haiku? – Chiede ansiosa la Brava in tensione.
-         Su quello che vuoi. Ricordati che l’Haiku individua le cose piccole e meravigliose della nostra vita quotidiana. –
Hanno avuto fiducia e si sono messi all’opera. Mi sono seduto ad uno dei quattro grandi tavoli maledetti che il Senza Zaino mi ha imposto. Ma stamani anziché l’ennesimo campo di battaglia, mi sembrava di essere assiso ad un piacevole banchetto. Piano, piano i bambini mi hanno portato le cose che stavano scrivendo ed è là che la supernova mi è esplosa accecandomi, che mi sono venute le lacrime. È stato come se mille storie, mille antichi sogni fossero tornati a galla attraverso i 24 piccoli terremoti della classe.
Il primo schiaffo mi è giunto, inaspettatamente, da Sonnolento pacioso, in genere pieno di scorrettezze ortografiche e poca fantasia. Leggo e rimango senza parole.
La luna canta,
ora, di notte, al buio
sul freddo gelo.
Mi raggiunge un’immagine silenziosa, quella di lui sul gelo a contemplare una luna magica, nascosta dentro un mondo che noi adulti non possiamo più penetrare. Poco oltre un secondo Haiku. Questo misterioso e pervaso da un soffio di enigmi.
Stella cometa
scende piano piano.
Buchi di frana.
Che immagine potente, cosa vorrà dire? Non glielo chiedo. Rimango a bocca aperta e lo abbraccio ammirato. – Grazie! – gli dico. Lui è imbarazzato perché si rende conto che la mia ammirazione è sincera e nemmeno lui comprende fino in fondo ciò che ha fatto.
Poi è la volta di Parlatoreaduemila, quello che si impegna ed è tenace ma che, come le parole che gli escono di bocca a velocità tripla, è sopraffatto dagli eventi. E’ emozionato, ha scoperto questa cosa delle sillabe che sgorgano in lui e si dispongono in immagini magiche. E che dire? Eccola la sua poesia magica.
Bosco di gigli,
tempesta e bufera
tutti infelici.
Lo vedo in quel bosco di fiori agitati, bellissimi e tormentati con lui che con loro si batte contro la bufera delle sue parole troppo veloci, troppo affastellate. Che lo rendono infelice. Ma che continua a combattere. Una volta passata la bufera, si è concesso la quiete. Ha scritto un altro haiku, l’opposto del primo:
La luna cupa,
le case si spengono,
la città dorme
 Uno dopo l’altro mi raggiungono i bambini con le loro rivelazioni Stupiti di se stessi, pieni di un piacere strano, quello che si ha quando si scopre di avere un potere magico.
A fine mattinata, per onorare questa immersione nelle profondità misteriose della poesia dalla quale i 24 esploratori hanno riportato a galla bellezza e mistero, ciascuno ha steso su cartoncini bianchi spessi strati sovrapposti di pastelli a olio. Sono venuti così colori ambigui e meravigliosi, contrasti di abisso e fuoco, notte e limpidezza, calore e gelo. Ognuno ha scelto il suo haiku più bello e lo ha inciso su quello strato di olio in modo che il testo, graffito, portasse alla luce gli strati sottostanti.
Ero felice, commosso e affascinato. Ho scoperto che ci sono territori di magia nei quali è bene spingere i  bambini senza guidarli. Perché là dentro noi adulti non possiamo più entrare. Dobbiamo rimanere in attesa, sotto la neve, di fronte a quella porta segreta che proteggono le divinità della parola. Da quel varco tornano fuori bellezza, contrasti, dolcezza, ironia, leggerezza, profondità, sogno e realtà.
Eccole le meravigliose scoperte che stamani i bambini sismici hanno riportato dal mondo dei poeti.

Biondopuntiglioso

La luna a spicchi
come una bella mela
la mangerei.

Furettopolemico

Sta arrivando
Babbo Natale, ecco:
scende le scale!

Pittricedisperata

Ho meraviglia.
Tanta gioia mi dai.
Ti dico: ciao!

No, la guerra no!
Non mi aiuta, mai.
Essa non cresce.

Biondaequilibrista

Alberi vuoti,
foglie gialle cadute,
castagne piene.

Tutti a studiare,
il maestro arriverà
per insegnarci.

Amica mia,
sono molto felice.
Ti voglio bene.

Cigliamisteriose

Tutto è splendente,
il freddo sta arrivando.
È quasi l’ora.


Io sono felice,
la più bella stagione
sta arrivando.

Il vento è forte,
io ho molta paura
però resisto.

Cercatoredisguardi

Noi ci stendiamo
sopra mari di ghiaccio
e là corriamo.

Tutti non morti,
nella sua propria tomba
al cimitero.

Il vento si sfa,
i tetti son ghiacciati.
Cade la neve.

Noi felici,
aspettiamo insieme
che arrivi l’Inverno.

La vita è bella
e noi la viviamo
con felicità.

Il vento nostro
è molto molto freddo.
Ci fa soffrire.

Volitivobrillante

Sabbia bagnata,
il mare scatenato
sulla spiaggia blu.

Mangio la pasta,
con l’olio e il burro
a colazione.
Volitivobrillante e Parlatoreaduemila

Vado in bagno,
a lavarmi le mani
con il sapone.

Freddo bestiale,
fulmini e saette.
Pioggia cadente.

Canta la dea,
che chiama la natura
dal cielo cupo.

Salto in alto,
guardando le nuvole
che si muovono.

Fili e Nichi,
scrivono poesie
sugli haiku.

Parlatoreaduemila

Bosco di gigli,
tempesta e bufera
tutti infelici.

La luna cupa,
le case si spengono,
la città dorme.

Serenascrittrice

Il sole splende,
tramonta e ti sorride.
Nasce un bimbo.

Sono contenti,
al buio risplendono.
La festa è qua.


Oggi grandina,
non torna più il sole.
Passa la luna.

Alberi folti,
colori molto scuri.
Rocce del bosco.

Occhi cobalto.
Il mio cuore è rosso,
tante farfalle.

Labambinadineve

Splende la luna,
su nel cielo azzurro
a mezzanotte.

Il vento soffia,
gli alberi vanno via.
Cadono foglie.

Il sole splende
e nella primavera
il vento soffia.

Ansiadiprestazionedistratto

Io amo Sarah,
il mio amore di sempre.
Avremo un figlio.

Ecco i maestri,
sono specialissimi
e sono grandi.

Disturbatoresensibile e Vatussobuono

Gli angiolini,
svolazzano felici
tutti assieme.


Poetessaspepera

Ceruleo il mare
e il cielo risplende.
Tutti felici.

Spegniti sole.
L’armonia va via.
Cadon le foglie.

Cade la neve
È la festa di Gesù.
L’albero brilla.

La gente canta.
Con gioia il sole splende.
La festa arriva.

Mare in tempesta,
profonda paura.
Ritorna il sole.

La Provocatrice

Guarda le stelle.
Le brillano negli occhi,
come diamanti.               
                                                                                              [dedicata a Aurora]

Affascinante,
un sorriso smagliante
come un diamante.
                                                                                                              [ dedicata a Laura]

Cara Ilaria,
danzi dentro un bosco
assai divino.
                                                                                                                [dedicata a Ilaria]

Fruscia lentamente…
[lacuna]
è così rilassante


Matematicoarticolato

Camino aperto,
Babbo Natale dona.
Tutti felici.

Chi mangia sano,
diventa fortissimo.
In palestra va!

Il lago è calmo.
L’acqua è freddissima.
Il sole batte.

Oriente fascinoso

Cade la neve,
il Natale arriva.
Tutti si gioca.

C’è un ventaccio
che porta via tutto
e ho paura.

Io sto dormendo
mentre sogno la Juve
che fa un gran goal.

Danzatoregrafico.

Cielo di stelle,
il cammini si accende,
corre la neve.

Tazza d’azzurro.
Magnifico colore,
devi cantare!

Studio e leggo,
è ora di merenda:
mangio focaccia.


Ridi più forte,
non piangere ma ridi,
guarda e grida!

Teneralentezza

Bosco di pini.
Tempo cupo e tetro.
Tutto bagnato.

Ha nevicato,
è un freddo bestiale.
Il vento soffia.

Bravaintensione

Felici siamo,
noi sotto la neve.
E ci giochiamo.

In passeggiata
sul molo a giocare.
Una pizza mangio.

È primavera,
gli alberi crescono.
Altro succede.

Sono vulcani.
Che pericolo sono!
Sputano lava.

Sonnolentopacioso

Il cane guardo.
Io che corro in giardino.
Il mare mosso.

La luna canta,
ora, di notte, al buio
sul freddo gelo.


Stella cometa
scende piano piano.
Buchi di frana.

La tromba d’aria
porta via Bozzano
senza proteste,

Gli scatoloni
volano piano piano
verso il cielo.



Sfogo di un maestro precario - Dalle inchieste di Riccardo Iacona alla Generazione perduta. Riflessioni sul paese del male.
Domenica sera ho guardato il programma di Riccardo Iacona, Presa Diretta, su Rai Tre. Ho fatto male, malissimo. Mai guardare la domenica sera roba del genere: la settimana non può che cominciare male. Si parlava della cultura in Italia, o meglio di ciò che ne resta. Delle politiche sbagliate, allucinanti, e del progressivo, irrimediabile sventramento del valore dell’arte in questo paese ormai finito. Che dell’arte ha prodotto quantità e qualità incommensurabili delle quali ormai ci stiamo dimenticando.

Si partiva dall’occupazione del Teatro della Valle a Roma. Ho seguito nel corso degli ultimi mesi la vicenda, bellissima e toccante, di quest’autorevole sede dello spettacolo italiano che rischiava di venir ceduta ad un privato dopo la sua chiusura. Il teatro è stato occupato da centinaia di giovani e meno giovani artisti venuti da tutta Italia che con passione e dedizione hanno ricostituito un luogo del dibattito artistico con un cartellone di tutto rispetto. Il servizio di Iacona ripercorreva le vicende e sollevava il problema angoscioso: perché i teatri chiudono? Perché le professionalità del teatro non vengono riconosciute? Si apriva così uno spaccato dolente e tristissimo sul mondo degli addetti ai lavori: scenografi, aiuto registi e operatori, solo per il fatto di rientrare nella categoria ‘artisti’, non vengono riconosciuti dallo stato per la retribuzione durante i periodi di sospensione lavorativa (disoccupazione). Sì, perché in Italia accade che gli ‘artisti’ non abbiano i diritti degli altri lavoratori. Ciò è scioccante: in Francia un artista disoccupato riceve il sussidio di disoccupazione, da noi no. Perché?
Penso allora ai miei amici di Cascina, gli attori di Teatro InBiLiKo, a Stefano che li dirige da anni. Il loro non è un teatro amatoriale, è una ricerca. Preziosa, costante, coltissima. Non solo artistica, ma umana, densa di bellezza. Come loro, tanti altri artisti ricercano e non respirano, tutti sommersi in questa ragnatela di indifferenza delle istituzioni. Senza sedi sicure, senza sedi idonee dove poter coltivare gli embrioni della loro arte, senza finanziamenti per poterla attuare. Tutti costretti ad arrangiarsi nella vita con altro perché sembra quasi una vergogna avere l’ambizione di fare teatro, fare l’artista, dedicare tempo all’azione scenica. I bellissimi spettacoli di InBiLiKo li vedono in pochissimi, solo gli amici e gli amici degli amici. Ed ogni volta che ho l’onore di assistervi penso che i cortocircuiti del sistema non funzionano, che un paese in cui ti vergogni di fare l’artista e non lo puoi fare a tempo pieno è un paese che non partorirà più alcuna cosa bella. Crea solo morte.

A seguire è stata la volta dei Musei. Brera: una delle pinacoteche più prestigiose d’Europa, versa in uno stato pietoso. Non ci sono soldi, i tagli le hanno inferto un colpo di grazia dal quale il museo milanese non riuscirà a sollevarsi tanto facilmente: non ci sono sale, i restauratori sono costretti a lavorare direttamente in galleria sottraendo spazio all’esposizione. Nel tetto ci sono infiltrazioni, lo spazio per la didattica è minuscolo. Bondi, l’orrido, imperdonabile, disturbante ed ignorantissimo ministro dei Beni Culturali dell’ex governo Berlusconi, promise assieme alla Moratti di destinare un fondo ingente per un progetto, la Nuova Brera, che avrebbe restituito al museo dignità e splendore. Nulla da fare. Esiste un palazzo di 9000 m quadrati comprato dallo stato e destinato a tale scopo ma l’edificio sta andando in malora. Cosa dire?
Io ho lavorato nei Musei: ho visto cose molto brutte, gestioni discutibili, molta incompetenza ( e anche su questo si dovrebbe intervenire) ma anche sforzi di intervento, attuazioni di migliorie rese possibili sempre e soltanto con l’aiuto di fondazioni e privati poiché lo stato concedeva anno dopo anno sempre meno. Questo non va bene, questo non può essere l’andamento di uno stato che sul patrimonio artistico avrebbe dovuto necessariamente fondare la sua ricchezza.
Così Iacona ci faceva apprendere quanto già sappiamo: che l’Opificio delle Pietre dure di Firenze, la più prestigiosa delle istituzioni di restauro del mondo, riceve ogni anno sempre meno sovvenzioni dallo Stato: i vecchi restauratori vanno in pensione senza sostituzione. Il massimo dell’insensatezza è che - mentre il sindaco boyscout Renzi e gli storici dell’arte di tutto il Paese si accapigliano per scoperchiare o meno un affresco di Vasari per cercare un presunto Leonardo in Palazzo Vecchio - gli strepitosi affreschi della cappella maggiore di Santa Croce a Firenze rischiano di scomparire a tal punto che, vista l’incuria dello Stato, un Giapponese facoltoso ha voluto stanziare personalmente il capitale per il restauro. Roba da non crederci: stiamo parlando di Santa Croce. E stiamo parlando, cazzo, di lavoro per giovani ed eccellenti restauratori.
E allora penso a Francesca, alla mia amica Francesca che ha studiato da restauratrice: brava, puntuale e puntigliosa come richiede questo lavoro. Tanti e tante come lei: una risorsa splendida per la cultura, posti di lavoro che sarebbero meritati, competenze necessarie e perfette per un territorio come il nostro. E invece? Invece Francesca ha lasciato tutto, non trovava lavoro, gli ingaggi erano saltuari e mal pagati: ora è cassiera in un ipermercato, qua, in Lucchesia. Ora il lavoro ce l’ha, dignitosissimo. Ma lontano dalla bellezza a cui sperava di restituire l’originale intensità. Ogni Francesca sottratta al restauro è una ferita, una sconfitta, una crepa insanabile nella geografia fragilissima dell’arte italiana.
Poi è la volta di Genova, dell’Orchestra stabile (ma viene da ridere …. instabile sarebbe più onesto): come quasi tutte le Orchestre italiane, anche questa è flagellata da tagli che riducono stipendi e fondi. I musicisti sono costretti a ridurre le prove perché non vengono pagati e questo comporta, inevitabilmente, l’abbassamento della qualità dell’opera. Mi chiedo, anche qui: perché? Perché anziché aprire un’Orchestra stabile in tutte le città, dobbiamo addirittura vessare le poche esistenti? Ma i musicisti sono lavoratori, persone con una specificità e dunque con una competenza che deve essere equamente retribuita: questo lo capisce o no chi deve occuparsi di impiego e lavoro?
Penso a quanti amici musicisti sono costretti a fare altro nella vita relegando la loro passione - che coincide con quello che dovrebbe essere il loro lavoro – in ambiti ristretti e forzati. Penso a Valeria che pur di suonare il flauto, divinamente, scorrazza per la Toscana da Massa a Grosseto, con paghe bassissime e spendendo di trasporto più di quel che guadagna. Penso all’amore per la Musica e alla Germania, dove ho assistito commosso a concerti dove tutti, a costi bassissimi, potevano accedere a questa forma d’arte così bella e nobilitante. E mi chiedo, di nuovo: perché? Perché da noi no?

Poi è stata la volta delle Biblioteche. Un caso raro e meraviglioso, a Bologna. La biblioteca della Borsa, immenso spazio liberty ricavato in una piazza coperta (http://www.bibliotecasalaborsa.it/home.php). Spazio multimediale, aperto a tutti, con bellissime aree attrezzate per i bambini, luogo dell’incontro e dello scambio, della cittadinanza dove la cultura si fa vitale. Bene, anche in questo caso, i tagli statali impongono chiusure e gli amministratori sono costretti a chiedere una donazione volontaria a chi entra. Si rimane senza parole. Se uno stato fa questo vuol dire che non ha capito nulla di ciò che è il senso di cittadinanza. Di cultura e di cultura della cittadinanza.
Penso dunque alle disastrate biblioteche delle nostre provincie, alle risorse inespresse che abbiamo. Al personale non qualificato che spesso le popola (penso alla Statale di Lucca, una miniera di rarità che una cattiva gestione sta rendendo sempre più appannata) e alle chance perdute come l’Agorà, che poteva essere una gran cosa e rimane la solita roba fatta così e così…

C’era anche lo sfacelo di Cinecittà nel reportage di Iacona (i teatri di posa un tempo usati da Pasolini, Fellini, De Sica, Scola ecc… dati alle produzioni del Grande Fratello e di Maria de Filippi…senza parole, che volete aggiungere?) ma non occorre andare oltre.

Il quadro complessivo è che l’Italia è affondata e ha disconosciuto la cultura. In cultura non si investe e nell’ambito dell’arte, comunque si accerchi il problema, il nostro stato, da decenni ed ora più che mai, considera gli addetti ai lavori (artisti e non artisti) indegni della qualifica di lavoratori. Anche nelle istituzioni formative come la scuola, che si interlacciano sempre con la cultura e producono cultura (anzi, producono accesso alla cultura), la strage in atto è inimmaginabile e senza via d’uscita. A questo punto vorrei che ascoltaste la mia storia, uno sfogo. Perché immediatamente, guardando Iacona, ho capito dove ero e dove la mia vita, come tante altre che avevano fatto della cultura il proprio baricentro, si è spezzata….

Sono nato in un’epoca in cui ci insegnavano che la cultura era un diritto. Qualcuno aveva lottato per noi, destinandoci ad un futuro più luminoso, più colto, più democraticamente colto di quanto non fosse mai stato prima. Effettivamente la formazione della mia generazione è stata insolitamente solida. Certo, è vero: anche tra i nostri educatori c’era chi si lamentava evocando i ‘bei tempi della propria giovinezza’, i tempi in cui si imparava ‘per davvero’ (le poesie a memoria, le date a memoria, le cose a memoria….) ma nonostante questo, la sperimentazione degli anni Ottanta (gli anni dell’ottimismo sciocco ma euforico) portava linfa vitale ovunque e anche nelle scuole tradizionali si viveva questo strepitoso sogno italiano, unico in Europa, di una scuola pubblica di calibro alto, formativa e integrante, inclusiva e meticcia, dove si cresceva e si fermentava, germogliando. Noi imparavamo meno in quantità, forse, di chi ci aveva preceduto, ma avevamo modo di sviluppare strumentalità incredibili, quelle che danno accesso ai meccanismi della conoscenza. Imparavamo ad imparare, a scoprire, ad esplorare.
Stavamo socialmente bene, in molti quanto meno. Così sembrava. Eravamo i figli di una borghesia illuminata che dopo le battaglie aveva conquistato un tenore di vita agiato, e poteva promettere ai figli di crescere nella cultura. La cultura come diritto. Finché ciò non è divenuto scontato, finché il decennio delle guerre sorde, gli anni Novanta, non ci ha svelato troppo tardi che quel futuro non ci sarebbe stato, che il sogno si stava infrangendo. Che saremmo stati peggio. La mia generazione, quella che ho chiamato aspramente e disperatamente ‘Generazione dell’Abisso’, dei nati a metà anni Settanta, si trovò così stritolata, allevata in un’attesa di luce che era implosa nel buio. Mi sono laureato - come tanti - a 24 anni, in Storia dell’Arte in un istituto prestigioso per la disciplina, quello Fiorentino. Laureato in tempo, regolarmente, anzi! L’Università (un tipo di Università seria, che oggi non esiste più) mi rimborsò metà tassa d’iscrizione perché laureato prima del tempo. Chissà se sarei piaciuto a quello sfigato di Martone, che appella i tardivi a laurearsi in modi indecenti? Era il ’99 e già si capiva che le scelte fatte le avremmo pagate a caro prezzo. Rimasi escluso dal concorso per l’insegnamento indetto da Berlinguer per un’odiosa clausola che ammetteva all’esame i laureati entro il maggio del 1999. Io mi ero laureato in Ottobre, e rimasi fuori, insieme ad altre migliaia. Scivolai in un’intercapedine che segnò, insieme ad altre simili leggerezze istituzionali, la fine della nostra generazione.
Rimediai pensando di perseguire la via della cultura. Un anno di borsa di studio presso la Fondazione Longhi a Firenze, poi il dottorato: un tentativo andato a buon fine, inaspettatamente. Tre anni di ricerca, mal retribuita ma appassionante. Nel frattempo lavoravo presso i Musei Nazionali di Lucca. Mi occupavo di didattica e di inventari. Io e le mie colleghe, storiche dell’arte anch’esse, venivamo pagati saltuariamente e poco. C’erano persone non laureate, senza titoli, che ricevevano compensi ben più lauti solo per risolvere problemi di tipo elettrico o informatico: frustrante. Funzionari incapaci e latitanti il cui lavoro, pagato dallo stato, veniva spesso svolto da noi. Perché? Dove era finito il diritto alla cultura? Perché aver studiato tanto per vedersi ridotti a fare i tappabuchi senza contratto? Creature invisibili. Sono rimasto in quei musei per dieci anni, lavorando tantissimo, dando il massimo. Senza contratto, retribuito male, senza che mi venisse pagato lo straccio di un contributo. Dieci anni buttati via a guardarli dall’angolo della sopravvivenza. Dieci anni appassionanti, se visti da quello della cultura.  Ma ha vinto la sopravvivenza.
Decisi di iscrivermi all’università di nuovo, alla facoltà di Scienze della Formazione. Avevo 31 anni. Ci dicevano che era l’unico modo per trovare ancora un lavoro. Nella scuola elementare c’era speranza e la facoltà era abilitante. Venivo da una famiglia di maestre e mi buttai nell’impresa, abbandonando tutto ciò che era stato fino ad allora la mia vita. Altri 32 esami (in tutto, nella mia doppia carriera universitaria, ne ho sostenuti 52!). La terza tesi! Due anni passati lavorando (nei musei, ancora), studiando, viaggiando come un pazzo fra Lucca, Pisa, Livorno e Firenze, facendo tirocinio nelle scuole e pagandomi l’affitto… ho il ricordo di un periodo straniante, stressante, cupo.
Conobbi in facoltà altre 40 persone come me, già laureate. Aprirono un corso speciale di tirocinio per venirci incontro, consapevoli dei sacrifici che stavamo facendo. Eravamo tanti. Identici percorsi, identici sogni infranti. Intanto incominciava la strage della generazione: amici ingegneri perdevano lavoro, amici informatici lasciavano l’Italia perché qua non c’erano prospettive. Coloro che erano rimasti tenaci, in ambito storico artistico, arrancavano dietro ai baroni senza sapere se e quando avrebbero avuto lo straccio di una sicurezza. I più non l’hanno avuta.
Forse avevo preso la via giusta ma a due mesi dalla laurea, ecco la scure della Gelmini a falcidiare e distruggere anche questo sogno di ripiego. Il maestro unico prima, la riforma deforme dopo. Via i posti, via le speranze. E dunque? Cosa rimane di tutto questo?
Il precariato. Un precariato che si prospetta eterno. Che mina la serenità, che logora. Soprattutto se giunge dopo anni in cui tu pensi di aver fatto il tuo, di aver dato, di esserti formato.
Oggi, 37 anni, sono dunque un maestro precario. In buona compagnia: siamo tantissimi, qualificatissimi (e lo dico, sì, lo dico: qualificatissimi!) e precari, mobili, senza aria. L’incognita del domani è la solita: totale, assoluta. Maestri precari in una scuola ormai terribile, quella italiana, che non ha più nulla di quell’energia, di quel sogno che aveva negli anni della sperimentazione, dell’Italia come faro per quello che concerneva la formazione e l’istruzione.
Io non dico ai miei bambini quanto erano belli i miei tempi. Non voglio essere come qualcuno dei miei antichi educatori: cerco di fare una scuola che sia adatta al tempo attuale senza avere i mezzi, però, e senza il sostegno di una struttura aggiornata ed elastica. Nonostante questo ci provo, per dare un diritto alla cultura anche a questi bambini per i quali si prospetta un futuro senza deroghe e senza privilegi. Almeno non li inganneremo. Che non debbano subire quell’amaro risveglio che è toccato a noi.
Ma il mio, il nostro futuro, dove sta? E, soprattutto, avremo un futuro? E in questo futuro, oltre i tagli, oltre l’economia empirica, oltre il cinismo, ci sarà posto per la cultura?

Dedico la mia canzone, suonata dagli Actias Luna, cantata da Elisa, la mia amica e musa, a tutti coloro che come me si sono spezzati e perduti in questo paese carcassa. Lo dedico a Francesca e Valentina , e a tutti restauratori perduti.
A Maddalena, Nadia, Martina, Benedetta e a tutti gli operatori didattici di museo perduti.
A Stefano, a InBiLiKo, a tutti gli attori  e registi perduti. E agli operatori del teatro invisibili.
A Valeria e a tutti i musicisti che resistono e a tutti quelli che non hanno resistito e sono diventati musicisti perduti.
Alle persone che avevano creduto nella cultura ma non ce l’hanno fatta.
A me, che sono onorato di essere maestro perché è un ripiego, un ripiego bellissimo, ma che, comunque, sarei stato altro: e a me unisco altri maestri che sarebbero stati altro..e non hanno potuto: Elisa, Gabriele, Eva, Sarah, Silvia, Chiara, Michela, Lucia, Ameris, ecc… ecc…

Generazione ’75 – verso l’abisso.
http://youtu.be/X3poyD-bPlI

Memorie di un maestro precario: una piccola greca sciocca, ovvero dei maestri che danno per scontato


L'altra mattina mi è capitata una cosa esilarante. Ero nella mia amata classe prima, dove insegno matematica. Avevo introdotto un concetto importante e delicato, la decina, e volevo sincerarmi che ogni bambino avesse compreso il lavoro fatto e avesse correttamente riportato i dati dell'esperienza sul quaderno. Dovendo chiamare un bambino alla volta, ho pensato che i compagni in attesa potessero dedicarsi a qualcosa di mediamente impegnativo. E che cosa ho pensato? Mi vergogno di me stesso ma non ho trovato di meglio che ideare una simpatica greca geometrica da far loro realizzare sul quaderno. Non amo le greche pur ricooscendo che anch'esse hanno una loro valenza didattica, specialmente per i bambini un po' sprecisi. Ma non le amo. Per cui, quasi riluttante, dico: bene, ora fate sul quaderno questa grechina
Effettivamente a ripensarci ricordo di aver notato i loro sguardi attoniti. Mi hanno fissato con stupore, muti, senza fiatare. Dentro di me ho pensato: 'caspita quanto mi devono conoscere! Sanno che non amo le grechine eppure non l'ho mai rivelato...mah, che bambini intuitivi' (effettivamente lo sono!). Mi alzo e mi dirigo alla lavagna di destra dove riproduco una grechina che i bambini dovranno copiare, proseguire e colorare sul quaderno. Noto che sono ancora come scossi, si guardano dubbiosi e poi si mettono a lavorare. Io correggo il quaderno del Volenteroso, poi passo a quello della piccola Matematicacreativa, diGenioesregolatezza, di Acutissimo e poi.... sento la voce di Spregiudicataloquace che mi fa: 'MAestrooo...'
Io alzò gli occhi dal mio lavoro e dico: 'Dimmi'
'Io ho fatto la cretina, ora che ci faccio sotto la cretina?' dice lei fissandomi soddisfatta.
In quel momento ho compreso che cosa era successo, il perchè dei loro sguardi, ciò che li aveva imbarazzati.
Penso che ricorderanno per tutta la vita il giorno in cui il maestro chiese loro di disegnare sul quaderno unacretina. 
Ho capito che l'errore non è stato quello di dar loro un esercizio un po' meccanico che io non amo, bensì l'avergli proposto la cosa senza spiegare - ad esempio - perchè una sequenza di sciocchi quadratini e triangoletti si chiama GRECA e, peggiorando il tutto, permettendomi pure un vezzeggiativo in uso fra le maestre che ha trasformato quella roba là in una cosa così incomprensibili che le loro menti intuitive e meravigliose, quasi per punirmi della mia stupidità, hanno reso una CRETINA. Un piccola, stupidissima, cretinissima greca!

L'abisso della III C(aos). Memorie di un maestro (precario)


Stamani abbiamo invaso la scuola col mare, ci siamo sporcati le dita, il naso e la faccia poiché i gessetti magici, per permetterci di sciogliere spirali, volute ed esplosioni d'azzurro, cobalto, indaco e verde, lapislazzulo e malachite, in cambio imponevano di farci anche noi della stessa sostanza di ciò che stavamo disegnando sulle pareti del corridoio. Il corridoio dove le classi terze esporranno i frutti del loro progetto annuale per questa maledetta, infestante festa di fine anno. L'isteria è collettiva: tutte le maestre-oche starnazzanti invadono i corridoi, mollano la didattica e i bambini per rivestire di lustro la porzione di corridoio loro affidata per la mostra-festa di fine anno. Alla faccia di chi ha attaccato cartelloni perfetti, educatissimi, sequenze d'impeccabile bellezza dove si vedono le mani di maestre ambiziose ma dove mancano quelle incerte, estrose e fantasmagoriche dei bambini, io e la mia collega, che siamo rivoluzionari, abbiamo aperto le cateratte del cielo, gli abissi del mare e coi bambini abbiamo disciolto l'acqua dei sogni. Ad un certo punto eravamo così imbrattati di colore che ci siamo chiesti se anche noi non eravamo entrati in quel mondo di coralli, di bolle trasparenti, dove i volvox primordiali pulsavano come lucciole marine. C'era felicità nei bambini, c'era un caos empatico che raramente ho sentito in questo anno di scuola deprimente: il caos che ho incontrato spesso era quello della rabbia, della compressione, delle cattive abitudini. Stamani c'era quello fecondo, amabile dei bambini felici di fare. Allora mi sono detto che qualche speranza c'è anche per la mia sfortunatissima terza c(aos) che il prossimo anno sarà nuovamente punto a capo: nuovi insegnanti, nuovi ritmi e di nuovo cattive abitudini. Quelle dell'ubbidienza sotto minaccia, quelle della costrizione forzata al dialogo, al cerchio, alle maledettissime teorie d’una pedagogia che si vanta di essere sperimentale ed è invece pericoloso esercizio di potere e manipolazione sui bambini. Io e la mia collega ci abbiamo messo un anno per riconsegnare fiducia a questa classe martoriata e difficilissima. Non so se ci siamo riusciti, ma ci abbiamo provato ad un costo altissimo: mi sento distrutto a questo punto, e sento addosso la pesantezza di una guerra da cui esco tutt'altro che vincitore. Ma la nuotata di stamani mattina, insieme alle persone che stimo, mi ha fatto bene. Mi ha fatto proprio bene.
Quando Lessy Dis, coi suoi occhiali scintillanti e la coda sbarazzina, tutta tinta nel viso come una guerriera pellerossa, batteva le mani dicendomi: 'Maestro, maestro, maestro ti posso aiutare, ti posso aiutare?', ho visto davvero una tosta bambina con la quale ho combattuto per un anno, che mi consegnava qualcosa di prezioso. Mi stava dicendo: 'Maestro, io ci sono, ci sono per te e per me, perché mi fa bene stare qui ora, in questo mare, perché lo facciamo insieme...'.
Allora li abbiamo messi tutti all'opera: Tranquillo Creativo e Pittrice Cacofonica, strepitosi prodigi della grafica e del disegno, hanno iniziato a dar vita alle scaglie di un enorme pesce che sembrava la divinità abissale dell'arcobaleno; poi è stata la volta di Anarchico Nuraghe e del Biondo Matematico che nel frattempo mi aiutavano ad allestire la città tridimensionale che abbiamo costruito con le scatole: ogni palazzo, ogni casa decorata dai bambini era una materia e alla fine si è disegnata la mappa concettuale intricata e avvincente del nostro anno: dal palazzo della logica si dipanavano le palazzine dei problemi e dell'analisi (logica), su tutto torreggiavano la centrale della disciplina, i grattacieli della grammatica e della matematica, le case della musica, l’hotel dell'informatica e il quartiere delle scienze, della storia e della geografia....; L'Araba ha la gamba ingessata, malinconicamente ci guardava seduta ma partecipava col suo sguardo inebriante come le spezie; il Cigno Nero ballava col suo stile leggiadro e frivolo cinguettando di continuo: 'Che bello, come siamo bravi, come sei bravo maestro....'; Severa Campagnola, imperturbabile, si è dedicata poi al verde acceso di una grande rana che usciva dalla bocca del pesce abissale; a ruota è giunto Piccolo Budda che con un rosa antico screziato di giallo fiammante, ha dato vita al tirannosauro che usciva a sua volta dalla bocca dell'anfibio; dalle fauci del rettile si generavano due animali, al termine di questa rivisitazione paradossale dell'evoluzione: un uccello, cui Flemmatico Enigma ha donato le sembianze incendiarie di una fenice, ed un mammifero, uno pseudo elefante che Extraterrestre Imperscrutabile ha mirabilmente immaginato in bianco. Mugolina Intelligente, lamentandosi come fa sempre, si è dedicata alle onde marine, e così, uno dopo l'altro, a volte in gruppo, i disperati della III C(aos) hanno generato uno shock artistico davvero artigianale, sicuramente imperfetto, ma molto loro. Ce li ho proprio visti tutti, creature sfuggenti, complicate e complesse di un abisso tormentato in cui per tanto tempo mi sono immerso a fatica e che, per magia, stamani mi regalava di sé gli aspetti scintillanti, emozionanti. Li abbiamo condotti con spirali azzurre nei labirinti contorti di questo mare e loro, poiché contorti e labirintici sono, ci si sono trovati a proprio agio. E là, sotto gli occhi di tutta una scuola che non va e che ci guardava sconcertata, dubbiosa e invidiosa – oh se ci guardava invidiosa! – abbiamo reclamato tutti assieme il diritto al nostro turbinante, sofferto abisso popolato di sogni.

I misteri della III C(aos). Memorie di un maestro (precario)

Stamani, per riprendere il tram tram settimanale in modo dolce, ho fatto sedere i bambini e prima di iniziare con la 'lezione specialissima di storia su homo sapiens', li ho fatti parlare sulle cose più o meno singolari che avevano fatto nel finesettimana. Molti hanno raccontato del compleanno di Saputello Nevrotico ragion per cui, quando costui è entrato in ritardo con il musetto seccato (la sua espressione più ricorrente) e si è seduto, ho esclamato sorridendo: 'Auguri!'
'E' domani, mica oggi il mio compleanno' ha borbottato quasi con rabbia. Vabbeh, gli giravano. Posso anche capire, alle 8 e 45 di lunedì mattina, fresco fresco ancora di cambio dell'ora legale, che gli girassero. Allora ho subito rimediato: 'Ohhh scusa, mai fare gli auguri in anticipo. Te li farò domani.' Lui ha sbuffato per nulla addolcito dalla mia esternazione e per cinque secondi ho fumato dentro di me, nell’intimo, come un piccolo vulcano regolabile (sono le 8 e 45 anche per me, amabile, dolcissimo, amatissimo bambino dalla faccina seccata...). Perché era così rabbioso di mattina? 'Qualcosa non va?' chiedo a bassa voce. Lui tace. Mistero!
I bambini hanno ripreso a raccontare. Il Piccolo Budda, con la sua espressione beata e paciosa, mi racconta di un pic-nic e di aver visto i maiali: 'Oh, maestro, c'erano i maialini e ho visto le mammelle! La mamma c'aveva 14 mammelle, gliele ho contate!' Mi ha riempito di fierezza: le lezioni della mia collega di scienze e le mie sui mammiferi preistorici danno buoni frutti! Dopo la mia spiegazione filologica sulla derivazione della parola mammifero da mama, cioè mammella, i bambini della III C(aos) vedono tette da tutte le parti. Però 14 mammelle sono tante e lì per lì mi sono visto una sorta di scrofa lunghissima, una specie di bruco infinito con queste poppette disposte in fila come bandierine di una festa di carnevale... pazzesco. Mistero!
È stata dunque la volta di Tranquillo Creativo: ‘Io sono stato a Milano, maestro’ racconta con quel modo di parlare rallentato e sornione, come se stesse ancora a crogiolarsi sotto le coperte. ‘Davvero? E come è Milano? Descrivici questa città! È piccola o grande!’ ‘Maestro, è una metropoli Milano! È grandissima…’ che soddisfazione – mi complimentavo interiormente, facendomi micro applausi – sono io che ho spiegato loro, mesi fa, la parola metropoli…. Guarda te a cosa si attacca uno! ‘E poi maestro, il duomo era pieno di quadri famosissimi…’ prosegue lui, con gli occhi illuminati dalla curiosità che era stata appagata, perché lui è curioso e ama sapere, conoscere: ‘c’erano queste finestre coi vetri stampati!’ Che bella definizione per le vetrate gotiche! Vetrate stampate: grande Tranquillo Creativo! Poi si incarta: ‘Poi c’erano delle case strane, che non esistono qua da noi.’
‘Cioè?’  faccio io e lui prosegue: 'Tutte attaccate ma staccate, coi giardini dentro’ ‘Condomini’? provo a intuire. ‘No, no..aspetta che te lo faccio vedere' e si alza facendo dei gesti, disegnando nell’aria qualcosa che per lui è sicuramente chiaro ma che per tutti noi rimane un vero mistero. Non sapremo mai quali strane case vengano costruite a Milano. Mistero!
Milano attiva una riflessione in Severa Campagnola che, diligente come sempre, alza la mano. Starebbe con la mano alzata anche tre ore, senza proferire parola, guardandomi con il suo grugno tenace tanto è abituata alla resistenza stoica. Ma le offro la parola subito. ‘Anche io ho un nonno a Milano. ‘Davvero? Abita là?’ ‘Si maestro, ma ha tante case da tutte le parti quello lì. In tutto il mondo fra un popo’!’ Non so se ridere del fatto che questo nonno è diventato in un secondo ‘quello lì’ oppure quel 'f'ra un popo’', tipico del dialetto lucchese della piana, che è un residuato del mondo contadino.
Poi avviene una cosa stranissima. Le chiedo: ‘E chi è, questo nonno? Il babbo della mamma?’ lei fa la faccia di chi ha appena detto una cosa che non si doveva dire ma che ormai è sfuggita alle maglie della segretezza. Ridacchia e scuote la testa. Non è il nonno materno, dunque. Sicché procedo tranquillo: ‘Allora è il babbo del papà?’ Stessa espressione, stessa negazione. Attimo di panico. E chi è? Lei si stringe nelle spalle come se la sapesse lunga.
‘Nonnèpossibbile!’ esclama Vesuvio Mesciato raddoppiando tutto ciò che gli passa per la bocca.
‘Ma se non è il babbo della mamma e nemmeno del papà’ dice Lessy Dis ‘come fa essere tuo nonno?’
‘Ehhh ‘ sospira lei come se non potesse proprio parlare poi ritrova la propria natura scontrosa. Si rivolge all’amica che l’ha messa alle strette e le tuona: ‘Senti, un te lo posso proprio di’, se no era facile no?’. E così la nostra discussione si incaglia sull’ennesimo mistero. Nonni misteriosi milanesi, case milanesi dall'inspeigabile natura, scrofe con percentuali di mammelle superiori alla media! Mistero!
Faccio la mia lezione su homo sapiens, faticosamente, assaltato dalla rabbia e dalle provocazioni costanti di Geova Furioso, il caso disperato (fra i molti) della classe che riversa su tutto e tutti la sua rabbia ancestrale, dolorosa, feroce. Ma ci riusciamo, riusciamo a fare faticosamente la nostra lezione al che mi raggiunge il Biondo Matematico che ogni volta che c’è storia rimugina e rimugina sul senso della vita. Lo so: l’evoluzione mette in crisi e che ci posso fare? Si avvicina con i meravigliosi occhi cobalto che mi scrutano con intelligenza e mi gettano addosso il senso della responsabilità di ciò che dovrò rispondere alle sue domande profonde. Ho parlato di scimmie, di primati che evolvono lentamente nei millenni e si fanno ominidi e di ominidi che evolvono in esseri umani dopo che la terra è stata popolata per milioni e milioni e milioni di anni da altre creature….
C’è di che andare in crisi, lo riconosco. Infatti mi fa: ‘Maestro, ma Dio è sempre esistito vero?’
Me lo chiede per sentirsi rincuorare. So che me lo chiede per questo. Cosa gli rispondo?
‘Certo, Matematico’ sorrido ‘coloro che credono in Dio pensano che sia esistito da sempre.’
Ho dato una risposta sincera, penso. Avrò fatto bene, lo avrò almeno in parte rincuorato?
Anche questo, mi sa, rimane un mistero.

Frammenti dalla III C(aos). Appunti di viaggio di un maestro


L'altro giorno, visto il clima quasi primaverile e tenendo conto del caldo delle aule a scuola (alla faccia degli sprechi energetici...), mi sono vestito a strati. Ho indossato una camicia e sopra una felpa a cui sono molto affezionato: rosso vinaccia, cerniera e cappuccio. Vestito così, con un non so che di trendy hip pop diciamo, sono andato a scuola. Entro alle 12 e mezzo, dando il cambio alla mia collega e subito Anarchico Nuraghe mi corre incontro, mi fissa due attimi con occhio indagatore. Terminata l'ispezione, esclama: 'Maestro, ma come sei sportivissimo oggi!'
'Non vado bene?' gli chiedo, con fare sornione certo della sua complicità. Mi piace fare domande sapendo già la risposta dei bambini, soprattutto quando so che riceverò un complimento.
'Anzi!' ride lui, mostrandomi i suoi 64 mila denti ' finalmente stai benissimo! Era proprio l'ora.'
Senso di frustrazione bestiale...
Se fossi stato in un cartone giapponese mi sarebbe comparsa una gocciolona accanto al viso.
Se ne va trotterellando con la sua andatura sgangherata, certo di avermi fatto un complimento. In effetti me lo ha fatto.
Ma che intendeva dire con 'finalmente! Era proprio l'ora?'

Io, i miei alunni della III C(aos) e l'Unità d'Italia.


L'Unità d'Italia secondo la III C(aos).
Stamani ho voluto parlare ai bambini della mia classe dell'Unità d'Italia. Perché penso che sia una cosa bella e perché credo che sia sensato che sappiano perché domani, 17 marzo, festeggeremo e non andremo a scuola. Sicché dico: sapete perché domani non verremo a scuola? Mi risponde, senza alzare la mano come al suo solito, l'Anarchico Nuraghe: 'Si maestro, domani è il compleanno dell'Italia! Festeggia 150 mila anni, è vecchissima!' 'Non festeggia 150 mila anni, ma 150' faccio io e lui ribatte: 'E' uguale, è vecchissima questa Italia qua!' (aggiunge spesso il 'qua' per farmi capire che l'argomento, lui, lo conosce, lo tiene in pugno).
Il Biondo Matematico puntualizza: 'Domani è la festa dell'Italia!'
'In che senso, la festa dell'Italia?' Chiedo io e a rispondermi è la tenace Lessy Dis: 'L'Italia unita!'
'Bene, cioè?' ribatto subito.
'Cioè che?'  mi fa Vesuvio Mesciato: 'Che vvuoi sapere, maesstro?' (da bravo napoletano raddoppia tutto il raddoppiabile).
'Che significa Italia unita?'
'Che prima era divisa!' Esordisce il flemmatico Enigma che quando mi vede soddisfatto delle sue risposte, arrossisce e abbassa gli occhi.
'Bene. E com'era prima, allora, questa Italia?' mi rivolgo a Severa Campagnola, la stoica e correttissima bambina che mi scruta sempre con una faccia fra il segugio, lo sparviere e il boia. Si stringe nelle spalle e poi ci prova: 'Beh, era divisa in parti!' (stanno facendo le frazioni a matematica e l'ossessione dell'unità divisa in parti uguali aleggia dietro la nostra discussione).
'Spiegami meglio, Severa Campagnola. Cosa intendi che era divisa in parti? Come? Come era divisa?'
'Che ne so maestro, un pezzo si trovava in Africa, un altro in Egitto, uno, boh, in mezzo la mare, di là....' E nello spiegarsi gesticola, serissima e io l'adoro perché trovo meravigliosa questa teoria dell'Italia spezzata in senso fisico.... Ma a rompere l'intensa spiegazione è Saputello Nevrotico, il più bravo: 'Ma che dici! Non è affatto così!'
'E come era, allora?' Gli chiedo io, mentre Severa Campagnola lo guarda con rassegnata severità: 'Allora parla te, se lo sai!' dice la bambina: 'Sai sempre tutto, e mi fai parlare per nulla!'
Mi volto verso Saputello Nevrotico e gli concedo il suo momento di gloria:
'Suvvia, Saputello Nevrotico, dicci tu come era secondo te tutta la faccenda.'
'150 anni fa non c'era l'Italia' fa lui, socchiudendo gli occhi melliflui, certo di esternare una certezza: 'ma c'era il mare. Poi sono sorte le montagne e delle isole e poi si sono unite.'
'Ah' faccio io annuendo, come se avessi appreso or ora una notizia straordinaria. 'Per cui c'era il mare....'
Lui capisce che qualcosa non va, scuote la testa e nega: 'No, mi sa di no.'
Nella mia classe ci sono bambini nati all'ombra del Vesuvio, figli di gente di Puglia, di Sicilia, di Sardegna, dell'Emilia, ma ci sono anche l'Araba che porta le spezie del suo Marocco negli occhi e la piccola Mugolina Intelligente, che mi tempesta di domande sul significato delle parole perché la sua famiglia è albanese e lei cerca tenacissima una sua identità qua, nel suo paese, la sua Italia. E poi ci siamo noi: gli insegnanti! Anche noi provenienti dai disparati angoli di questo martoriato e bellissimo stivale: io dalla Repubblica dei Nove Anziani, la mia grande collega Borbonica, quella che arriva da una città lontana, quell'altra dal sud, una da Pisa, e così via...
E in questo caotico, devastante inizio di secolo, mentre da lontano tuona vicinissimo il dolore del Giappone, dal Sud dell'Africa magrebina giunge l'eco delle rivoluzioni e il nostro Paese sprofonda ancora di più sotto le sferzate di una follia suicida, guidato da un gerarca al tramonto (al tramonto?), io penso che stanotte accoglierò il compleanno della mia martoriata Italia sognando il mare di Saputello Nevrotico e i pezzi sparsi che Severa Campagnola immaginava, guarda caso, provenire dall'Africa, dall'Egitto e perché no da Est. Un pezzo d'Albania, un soffio d'oriente, l'odore della resina dei pini e il canto delle cicale che, per me, saranno sempre il simbolo di una patria aperta, unita, piena di dolente ma splendida diversità.
Grazie III C(aos).....