giovedì 4 luglio 2013

La bellezza degli uomini.


Il fascino del ritratto, come peculiare genere artistico, in genere ci raggiunge tardivamente. Da adulti. Non è difficile comprendere il perché di questo fatto. Si deve avere un po' di vita alle spalle per capire a fondo questi documenti magnetici. L'esperienza ci aiuta ad andare oltre il mero virtuosismo mimetico. Ai bambini e ai giovani piacciono i ritratti che sono più simili al vero, naturalistici, fotografici. A noi adulti, invece, piacciono quelli in cui, oltre la tecnica illusionistica, ritroviamo l'arguzia, la testa pensante, lo sguardo che rivela. Insomma: il ritratto interiore.
Tra tutte le tipologie di dipinto, il ritratto è quello che crea maggior tensione ed imbarazzo nell'osservatore attento. A volte ci trasforma in voyeur, altre ci costringe a restituire a quell'immagine posta oltre la finestra della cornice, un'emozione reale: interesse, affetto, astio o attrazione, commozione o complicità. I grandi ritratti ci chiamano ad una partecipazione che travalica le epoche e ci riconnette non solo con individui ormai scomparsi e, molto spesso, sconosciuti, ma con tutto il senso profondo di una civiltà al cui fluire apparteniamo. Un grande ritratto è come un'opera di Shakespeare. Può raggiungerti da date antichissime eppure svelarti l'animo dell'uomo così come è, realmente, immutabile nello scorrere del tempo. Il grande ritratto, così come la grande tragedia, ci rivela chi siamo. La finestra diventa uno specchio e ciò che vedi non è altro che la tua anima vestita d'abiti d'altre epoche.
Questo che vedete è un gradissimo ritratto. Risale all'incirca agli anni Venti del Cinquecento, l'epoca truce e cupa in cui il Mondo comprese d'essere d'una sostanza e d'una forma ben diverse da quelle che si era sempre supposto. E' un'epoca fatta di tinte terrose e verde bottiglia, su cui si stampano a contrasto stoffe sontuose e musiche di flauti e liuti.
Nonostante le incertezze del tempo e della sua vita, Parmigianino, pittore emiliano di grande talento, seppe scovare la bellezza degli uomini dentro il fluire torbido di quei giorni.
Guardate questo sconosciuto: non sappiamo chi esso sia, né che mestiere facesse. Era un facoltoso uomo sulla trentina, bello, indubitabilmente bello e fiero della propria cultura a cui allude il libro ma anche la parasta dorata alle spalle, decorata con raffinate grottesche.
Ci guarda, un occhio è in ombra ma l'altro, grande e vigile, ci scruta sotto sopracciglia folte, di una tenebra curata e pettinata come la barba. Appartiene al nascente ceto borghese: ce lo dice la sua eleganza ostentata ma comoda, i gioielli, un copricapo austero ma calzato con casualità. La forma conta ma è esteriore e lui lo sa bene. E' ricco e lo fa vedere ma a lui, come al pittore e come a noi, preme far fiorire sulla superficie dipinta l'intelletto vivace, la mente pensante.
Veste e gioielli lo rendono parte simile di un insieme sociale: l'arguzia e l'intelletto, da quel contesto, invece lo distinguono. Un ritratto si fa per dire entrambe le cose: io appartengo a voi ma da voi io sono diverso.
Egli sa, complice il pittore, che quella veste raffinata e quel cappello passeranno di moda, che i secoli li renderanno cimeli della storia. Ma non passerà il modo fiero di guardarci, non cambieranno il senso del comprendere e del farsi comprendere. La potente pervicacia con cui egli ci guarda è simbolo di un immutabile stato delle cose umane: la sua interiorità diventa eterna, diventa mia, diviene nostra. E' ora. Ci racconta e ci sussurra da quel fondo verde bottiglia che siamo sostanza di una civiltà potente, nobile ma malata. C'è un prima e un dopo quel lontano momento di primo Cinquecento. Un filo attraversa quel prima e quel dopo e ci lega a questo bellissimo uomo, ad altri prima e dopo di lui, rendendoci tutti concittadini di una storia fatta di ombra e luce.
Quando un ritratto ci regala questo incanto, scopriamo l'essenza reale dell'opera. Ed allora l'arte,a discapito stavolta dei suoi autori e dei loro decadenti committenti, assolve un suo misterioso dovere: documentare anche ciò che la storia, nel materiale scorrere degli eventi, tralascia in quel limbo di emozioni,gesti e pensieri fondanti che chiamiamo vita comune.

Parmigianino
Ritratto di uomo con libro,
1525 ca.

New York, Art city Gallery


2 commenti:

  1. Bellissima riflessione, profonda e delicata. Non mi ero mai soffermata a pensare al fatto che, effettivamente, i ritratti si apprezzano tardivamente. Ma ho sempre fatto lo stesso ragionamento che esponi tu con le biografie. In gioventù non le ho mai apprezzate, non mi interessava entrare nelle vite degli altri, preferivo a questo una bella storia, ben scritta e ben raccontata, in cui la fantasia fosse motore e fulcro. Adesso apprezzo la descrizione di una vita. La quotidianità, le gioie, i dolori, le fariche di ogni giorno mi fanno sentire affine agli uomini che le vivono, mi sento parte di loro e li sento parte di me. Adesso capisco anche quel raccontare. E, sicuramente, hai ragione: è necessario aver vissuto per apprezzarlo.

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  2. Anche a me ora piacciono (anzi, mi affascinano proprio), le biografie. Condivido la tua riflessione Valentina! Grazie.

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