martedì 13 maggio 2014

Una riflessione a margine di Victor Hugo.

Sto leggendo 'I lavoratori del mare' di Victor Hugo. Me ne è capitata in mano una versione del 1928 tradotta in un italiano bizzarro, datato e pieno di formule così astruse delle quali a volte, a scapito delle situazioni descritte, rido come uno scimunito. Ma giuro che lo finirò in questa versione antiquata perché, per paradosso, la forza della storia narrata mi giunge insolitamente più integra che se usufruissi di una traduzione moderna. Premetto che Hugo non è un autore col quale risuono proprio benissimo. I Miserabili attendono ancora ch'io li finisca di leggere essendomi stufato dopo circa trecento pagine: le divagazioni, una vera ossessione limitante dell'autore, mi avevano fatto perdere gusto per il succo della storia. Penso che Hugo sia un mestierante della letteratura molto prolifico, capace di pagine superbe ma con un difetto imperdonabile: l'incapacità di condensare il filo narrativo. Idee splendide, potenti personaggi, trame contorte seppur funzionanti ma troppe, troppe divagazioni nelle divagazioni che si allontanano dal percorso tanto da confondere o annoiare. Manca a Hugo ciò che fu l'abilità massima di Dickens, ovvero la maestria nel comporre, nel mixare, nel montare ad arte una trama seppur frantumata.
Ma non è di questo che vorrei parlare anche perché non conosco tutta l'opera di Hugo.
Mentre leggevo la mia grottesca versione dei 'Lavoratori del mare', destreggiandomi anche qua fra mille divagazioni, sono incappato in due periodi di fulminante lucidità.
Eccoli:
'Il non distinguere è errore.'
'Esiste l'intolleranza dei tolleranti, del pari che la rabbia dei moderati.'
Che gusto particolare si prova quando uno scrittore riesce in poche, fulminanti parole a enucleare concetti che senti profondamente tuoi e che tu, però, avresti dovuto esprimere con almeno due decine di parole in più!
Io penso davvero che il non distinguere, il non sapere discernere, sia uno degli errori più gravi che si possano commettere. Questa frase lapidaria nasconde un mondo, un universo etico. Per chi insegna, ad esempio, essa dovrebbe funzionare come monito. Non solo perché l'insegnante ha il dovere morale di saper distinguere le infinite motivazioni di un percorso formativo fatto di conqusite, perdite e crisi, ma perché, soprattutto, compito di un educatore è quello di fornire strumenti per poter discernere. Non si insegna cosa è buono e cosa no. Si insegna a capire cosa è buono e cosa no. Si insegna a distinguere. Si offrono strumenti per comprendere la complessità senza banalizzarla. Distinguere è sinonimo di cogliere le differenze, percepire le sfumature, comprendere l'adeguatezza di ciò che avviene in un preciso momento e in preciso luogo. Si finisce così per recuperare un senso altissimo, perduto ed etico della forma, ad esempio. Forma e sostanza non sono cose divise, anzi! L'una è parte dell'altra. Saper distinguere ci restituisce piena percezione che le forme dell'essere e del comportarsi non sono pura educazione estetica bensì profonda percezione della sostanza.
Riguardo alla seconda frase, sono anni che polemicamente mi dichiaro avverso ai pensieri moderati, vagamente pacificatori, che esalano un astratto concetto di tolleranza (che, andrà ricordato, significa sopportazione). Pensando a certi intellettuali radical chic, a certi vegani modaioli dell'ultima ora, a questo amore di molti per i pensatori 'alternativi', di guru, di occidentali convertiti a forme patetiche di buddismo inconsapevole.... beh, ecco, trovo potentissimo ed attualissimo quanto espresso dallo scrittore francese. Perché è verissimo che in certe forme di ostentata tolleranza si nascondono invece convenzioni e rigidità incredibili così come è vero che in molti gruppi di presunti portatori di pace e moderati cova una rabbia latente determinata dall'insoddisfazione esistenziale di chi per castrazione psicologica, incapacità caratteriale, vissuto, non riesce a scaricare quell'emozione così umana. La rabbia viene così rimossa, soffocata, con procedimenti perversi e motivazioni altrettanto contorte. Cova dentro, avvelena l'anima, alimenta scorrettezze, invidie, atteggiamenti ambigui. Gli arrabbiati non rabbiosi, ahimé, sono quelli che riportano le parole dette alle spalle, che riferiscono le malignità, che attendono che altri possano dare voce e gesti alle loro soffocate frustrazioni. Cercano giustizia attraverso gli altri e in questo costituiscono uno dei pericoli più significativi della vita comunitaria.
Il vero tollerante non si proclama tale. Lo è nei fatti, lo dimostra.
La rabbia esiste e va accolta. Solo nel prenderne atto riusciamo a liberarla, darle una direzione e a ritrovare la pace. Trattenerla in noi, provoca solo pericolose ebollizioni.
Grazie Hugo!

1 commento:

  1. Sottoscrivo ogni tua parola (tranne il giudizio su Hugo su cui torno dopo) e quello che dici sulla rabbia è una mia riflessione costante di vecchia data. Dentro di noi sperimentiamo tutta la gamma delle emozioni (e dei sentimenti) che, essendo una caratteristica prettamente umana, ci appartengono tutte indistintamente. Non esistono emozioni buone ed emozioni cattive, come ci vogliono inculcare con l'educazione fin da piccoli. Perché ogni emozione ci dice qualcosa di noi. La rabbia è un'emozione salvifica perché ci permette di opporci a ciò che ci ferisce e ci dà una forza inusitata, ci spinge all'azione. Se la rifiutiamo, la soffochiamo, tentiamo di incasellarla, invece, ci distrugge perché implode invece di esplodere. La rabbia repressa tende a trasformarsi in rancore, qualcosa di persistente che ci logora. È chiaro che, con questo, non sto inneggiando alla violenza o cose del genere. Ma sono convinta che la rabbia non diventi mai violenza se è usata nel modo corretto, per farci capire che una certa cosa ci fa male e per farcela rifiutare.
    Per quanto riguarda Hugo, invece, è uno dei miei autori preferiti e, personalmente, lo amo proprio per le digressioni che tutti trovano ridondanti e superflue. Nella mia ottica sono necessarie e brillanti. Io adoro il suo stile e ammiro proprio l'uso delle parole che fa nelle descrizioni e nella narrazione delle parti storiche. Ho letto tutti I Miserabili e non ho saltato una riga, anzi, ci sono intere pagine che mi sono riletta due volte di seguito da quanto le ho trovate belle! E adesso lo sto rileggendo ad alta voce insieme a Davide ogni volta che ci vediamo. Credo che la lettura condivisa sia una delle pratiche più belle e più ingiustamente dimenticate che ci siano. Io la amo moltissimo e cerco sempre di portarla avanti, con i bambini ma anche con gli adulti.

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