martedì 10 giugno 2014

Una cosa bellissima



UNA COSA BELLISSIMA




Ieri sera è successa una cosa bellissima. Io ed Elisa, per sostenere il progetto 'Il sogno di un viaggio diverso', abbiamo creato un programma di 14 canzoni, 7 cover e 7 pezzi degli Actias Luna. Le eseguiamo in duo, voce e piano o arpa, o arpa e piano in alcuni casi. Abbiamo intitolato questo programma minimale '14 passi verso il sogno...' e abbiamo inventato la formula del concerto domestico. Chi vuole sostenerci ma magari non può o non riesce a fare la donazione online, raduna alcuni amici a casa e noi realizziamo questa piccola magia musicale. Ieri, appunto, abbiamo varato questa formula ed è accaduta una cosa bellissima. La mia collega Virna ha radunato le colleghe di Bozzano con famiglie ed amici nella sua piccola, graziosa casetta di Loppeglia, sulle alte colline della Val Freddana. Posto magico.
Ognuna aveva portato da mangiare qualcosa di preparato a mano: torte salate, torte dolci, affettati, formaggi, stuzzichini, buon vino da bere. C'erano anche dei bambini e dei ragazzi. L'atmosfera, fin da subito, è stata di rilassata convivialità. Nelle antiche strade ripidissime di Loppeglia la luce del tardo pomeriggio, caldo e denso della prima estate, scivolava verso le vallate verdi intorno. Nel silenzio del borgo si sentiva soltanto il ronzio di qualche insetto, lontani scampanellii di capre o pecore e le nostre voci ridenti. Io ed Elisa ci siamo sistemati in un angolo del terrazzino d'accesso alla casa. Alle nostre spalle, in basso, le colline ammantate di boschi oltre un'antica aia abbandonata. In alto un cielo serotino terso. Le persone si sono sedute sui gradini, altre per la strada, qualcuno sulle poche sedie collocate sul terrazzo. Il nostro concerto è iniziato così. E la natura ci è venuta incontro. La luna è sorta alle spalle di Elisa mentre cantava. Senza amplificazione. Il luogo potenziava la sua unica, struggente e colorata voce senza bisogno di altro che quella preziosa attenzione. Volti sorridenti, divertiti, poi commossi, poi di nuovo divertiti e poi affascinati. Io trovo speciale quando qualcuno ascolta la nostra musica con tanta grazia e tanta dedizione. Penso di ricevere un regalo unico. Si è fatta notte e alla luce di lanterne il nostro concerto si è intervallato a momenti conviviali, a risate, a confidenze. Qualcosa di straordinario da non dimenticare. Alla fine queste persone speciali ci hanno fatto la loro donazione. Preziosa, utile. Stamani essa è stata regolarmente versata sul progetto crowdfunding spingendo il nostro sogno al 38% della sua realizzazione. Ma la vera donazione è stata quel senso di accoglienza, di calore e di interesse sereno verso la nostra musica. Qualcosa che non potremo mai dimenticare e che rimane una perla luminosa della lunga storia del mio gruppo. Nel ringraziare tutti i presenti, molti dei quali non sono qua su Facebook, ricordo anche i nostri compagni di viaggio musicale Francesco Massagli, Gerard Bigfrancis Grooveman, Giovanni Nocera, Raffaello Terreni) che sono stati, nell'assenza, presentissimi in ogni passaggio. Un grazie all'ospitalità preziosa e attenta di Virna e Riccardo, a Giulia meravigliosa compagna di viaggio e a Miranda ed Elia, a Licia che si è emozionata con noi, a Sara, a Luca e i loro tre straordinari figli, a Ilaria, Tamara, a Fabiola, a Katia, a Barbara, a Cristina, a Samuele, alle amiche di Virna di cui non ricordo il nome ma che sono state attente e affettuose ascoltatrici. Grazie!

martedì 13 maggio 2014

Una riflessione a margine di Victor Hugo.

Sto leggendo 'I lavoratori del mare' di Victor Hugo. Me ne è capitata in mano una versione del 1928 tradotta in un italiano bizzarro, datato e pieno di formule così astruse delle quali a volte, a scapito delle situazioni descritte, rido come uno scimunito. Ma giuro che lo finirò in questa versione antiquata perché, per paradosso, la forza della storia narrata mi giunge insolitamente più integra che se usufruissi di una traduzione moderna. Premetto che Hugo non è un autore col quale risuono proprio benissimo. I Miserabili attendono ancora ch'io li finisca di leggere essendomi stufato dopo circa trecento pagine: le divagazioni, una vera ossessione limitante dell'autore, mi avevano fatto perdere gusto per il succo della storia. Penso che Hugo sia un mestierante della letteratura molto prolifico, capace di pagine superbe ma con un difetto imperdonabile: l'incapacità di condensare il filo narrativo. Idee splendide, potenti personaggi, trame contorte seppur funzionanti ma troppe, troppe divagazioni nelle divagazioni che si allontanano dal percorso tanto da confondere o annoiare. Manca a Hugo ciò che fu l'abilità massima di Dickens, ovvero la maestria nel comporre, nel mixare, nel montare ad arte una trama seppur frantumata.
Ma non è di questo che vorrei parlare anche perché non conosco tutta l'opera di Hugo.
Mentre leggevo la mia grottesca versione dei 'Lavoratori del mare', destreggiandomi anche qua fra mille divagazioni, sono incappato in due periodi di fulminante lucidità.
Eccoli:
'Il non distinguere è errore.'
'Esiste l'intolleranza dei tolleranti, del pari che la rabbia dei moderati.'
Che gusto particolare si prova quando uno scrittore riesce in poche, fulminanti parole a enucleare concetti che senti profondamente tuoi e che tu, però, avresti dovuto esprimere con almeno due decine di parole in più!
Io penso davvero che il non distinguere, il non sapere discernere, sia uno degli errori più gravi che si possano commettere. Questa frase lapidaria nasconde un mondo, un universo etico. Per chi insegna, ad esempio, essa dovrebbe funzionare come monito. Non solo perché l'insegnante ha il dovere morale di saper distinguere le infinite motivazioni di un percorso formativo fatto di conqusite, perdite e crisi, ma perché, soprattutto, compito di un educatore è quello di fornire strumenti per poter discernere. Non si insegna cosa è buono e cosa no. Si insegna a capire cosa è buono e cosa no. Si insegna a distinguere. Si offrono strumenti per comprendere la complessità senza banalizzarla. Distinguere è sinonimo di cogliere le differenze, percepire le sfumature, comprendere l'adeguatezza di ciò che avviene in un preciso momento e in preciso luogo. Si finisce così per recuperare un senso altissimo, perduto ed etico della forma, ad esempio. Forma e sostanza non sono cose divise, anzi! L'una è parte dell'altra. Saper distinguere ci restituisce piena percezione che le forme dell'essere e del comportarsi non sono pura educazione estetica bensì profonda percezione della sostanza.
Riguardo alla seconda frase, sono anni che polemicamente mi dichiaro avverso ai pensieri moderati, vagamente pacificatori, che esalano un astratto concetto di tolleranza (che, andrà ricordato, significa sopportazione). Pensando a certi intellettuali radical chic, a certi vegani modaioli dell'ultima ora, a questo amore di molti per i pensatori 'alternativi', di guru, di occidentali convertiti a forme patetiche di buddismo inconsapevole.... beh, ecco, trovo potentissimo ed attualissimo quanto espresso dallo scrittore francese. Perché è verissimo che in certe forme di ostentata tolleranza si nascondono invece convenzioni e rigidità incredibili così come è vero che in molti gruppi di presunti portatori di pace e moderati cova una rabbia latente determinata dall'insoddisfazione esistenziale di chi per castrazione psicologica, incapacità caratteriale, vissuto, non riesce a scaricare quell'emozione così umana. La rabbia viene così rimossa, soffocata, con procedimenti perversi e motivazioni altrettanto contorte. Cova dentro, avvelena l'anima, alimenta scorrettezze, invidie, atteggiamenti ambigui. Gli arrabbiati non rabbiosi, ahimé, sono quelli che riportano le parole dette alle spalle, che riferiscono le malignità, che attendono che altri possano dare voce e gesti alle loro soffocate frustrazioni. Cercano giustizia attraverso gli altri e in questo costituiscono uno dei pericoli più significativi della vita comunitaria.
Il vero tollerante non si proclama tale. Lo è nei fatti, lo dimostra.
La rabbia esiste e va accolta. Solo nel prenderne atto riusciamo a liberarla, darle una direzione e a ritrovare la pace. Trattenerla in noi, provoca solo pericolose ebollizioni.
Grazie Hugo!

sabato 10 maggio 2014

Memorie di un maestro precario: l'arte, gli Uffizi e 25 bambini. Un perché è ancora bello essere italiani.

Giotto descritto da Altissimanarratrice e Silentemistero
Sfinito e distrutto mi sono addormentato, ieri sera, con un senso di pienezza raro. Commuoventi le due ore passate negli Uffizi con la folla di stranieri che si è portata a casa un'immagine dell'Italia bella e potente. E non pensavo alla nostra millenaria arte grandiosa conservata in quel Museo unico, ma ai nostri bambini che con magica bellezza descrivevano i quadri ai compagni,seduti silenziosamente (o quasi sempre silenziosamente) a terra in ascolto, combattendo il brusio di fondo e la maleducazione di molte guide turistiche che ci volevano scacciare senza riuscirci.

Piero della Francesca descritto da Appasionatocorretto e Rickettararilassata.

I bambini emozionati e professionali, ci hanno raccontato: la vita degli artisti; quando quell'opera specifica era stata dipinta e per chi; cosa essa rappresentava e quale tecnica era stata usata. Gruppi di italiani e stranieri si fermavano, anche senza capire ascoltavano, sorridevano... ed anche altri bambini. Un fotografo cileno ci ha seguiti sedendosi con noi, alcuni custodi si sono complimentati per questo raccoglimento che non invadeva ma anzi, richiamava...

Ghirlandaio proposto da Biondoflemmatico e da Storicoincartato
 poi ho visto altre bellezze, non eravamo gli unici: due professoresse della secondaria con un gruppo attentissimo di ragazzi tessevano fili di racconto fra i dipinti e mi sono sentito parte di un progetto italiano, di insegnanti e di studenti in collaborazione. Sentivo che riscattavamo tutti assieme l'idea diffusa dell'Italia caciarona e incapace di valorizzare il proprio patrimonio.

Durer raccontato da Disordineilluminato e Graficoinsicuro

 Stavamo facendo qualcosa di moderno, anzi, modernissimo, ammirando il nostro passato e rendendolo comprensibile. E questo non perché io, Giulia e Ilaria o quelle due professoresse fossimo chissà quali insegnanti speciali. No. Questo avviene perché la Scuola Italiana, ora distrutta in mille isole alla deriva, continua a tenere.

Botticelli penetrato dal Trio Lescano: Piccolaguerriera, Poetessascontrosa e Disperatapittrice
 Solo in questa Scuola, pubblica, tenace, ferma nella convinzione che la cultura e la bellezza devono essere di tutti, inclusive, ricche di potenzialità e strumentalità formative si possono ottenere magie come quella di eri. 

Leonardo esplorato da Inconsapevoleartista e Fieraschiettezza

Raffaello intervistato da Scrittriceloquacissima e Mateamaticointroverso
 Grazie ai bambini e alla loro anarchica capacità di vedere dentro l'arte. Un grazie anche ai Musei Nazionali che permettono l'ingresso gratuito ai ragazzi: altro segno di civiltà e di illuminata concezione della Cultura che dobbiamo difendere, alimentare, far conoscere.
Caravaggio indagato da Intuitivapolemica e Paciosotenace

Michelangelo descritto da Delicatatrasparente e Occhioamandorlaacuto.
  Ieri sera, pieno di gioia, mi sono addormentato sentendomi vicino alle mie colleghe e ai miei ragazzi e ai miei musei e al mio Stato martoriato. Stranamente felice di essere un insegnante precario italiano. Sì! Italiano.

Piero di Cosimo illustrato da Brillantezzapigra e Integerrimosguardo

Tiziano indagato da Scienziatologorroico e Saturnocontro

Paolo Uccello resocontato da Parlatoreaduemila e Razionaleoppositivo



lunedì 21 aprile 2014

Perché anche quando risorge, Cristo non ride mai?


In questi giorni di Pasqua mi giungono graditi da più parti auguri di Buona Rinascita. Che la Pasqua cristiana coincida quasi sempre con l'esplodere fecondo della Primavera è una questione antica, legata ai culti della rigenerazione e del tempo propizio. Ora, mi chiedo perché un argomento tanto affascinante e bello, anche per le energie che esso comporta in termini di apertura alla nuova stagione, sia stato risolto dalla Religione Cristiana Cattolica con l'ennesima severità.

Maestro dell'Altare di Trebon
Facendo una veloce stima, ho realizzato che nell'ingente mole di arte sacra sopravvissuta ai secoli, il tema della Resurrezione ha avuto una sua fortuna costante ma decisamente inferiore, per quantità, a quello della Crocifissione. Il Cristianesimo ha figurativamente esaltato più la tortura e la morte del Figlio Incarnato di una divinità, più che la sua Rinascita che, almeno per umana empatia, dovrebbe essere invece motivo di gioia ed emozione. Con Cristo risorto, ci dicevano al catechismo, rinasce un Nuovo Mondo. Ridiamo dunque, gioiamone. E invece no. Nell'immaginario figurativo della Resurrezione nell'Occidente Crstiano, Cristo se ne esce dal sepolcro con la stessa aria severa, quando non sofferente, che lo caratterizza in tutte gli altri episodi della vita.
Antonello da Messina, Cristo alla Colonna
Senza nulla togliere alle splendide soluzioni offerte del tema da Giotto, Piero della Francesca o Perugino e tanti altri, devo comunque accettare che la religione cristiana ha sempre prediletto la morte e il dolore. La Croce, questo simbolo così terribile e per me inaccettabile, vince su qualsiasi riscatto effettivo possa leggersi negli eventi che seguono al seppellimento di Gesù. Si tratta, ad avviso di chi scrive, di una chance perduta. Avremmo potuto riconciliarci almeno alla fine con un figlio di Dio che è sempre, perennemente, cupo o severo. Non ritrovo, nemmeno nelle pagine dei Vangeli a dire il vero, momenti di serena gioia, sorriso e effettiva luminosità di Cristo. Egli rimane sempre giudice, austero, sobrio, buono ma mai leggero. E ciò dispiace perché in questo la figura perde di quell'umanità che tanto vogliamo attribuirgli e che io, per mia personalissima condizione esistenziale, fatico invece a rintracciare. Cristo non ride mai. Ora, se negli atroci momenti del dolore e della tortura, la sua umanità si mostra ostentatamente violentata e sofferente, perché mai, una volta risorto, quel giovane così bello e importante non ci concede l'energia feconda di un sorriso? Possibile che nemmeno la Primavera, la pagana versione feconda delle antiche dee genitrici, nel suo esplodere di bellezza, turgore e luce, sia riuscita a dirottare secoli di dottrina incentrata solo sul rimprovero, sulla mistificazione del dolore, sull'esaltazione di un amore perverso che si infiamma solo nel sacrificio di un figlio? Sarò sempre contrario a un Dio che immola suo figlio per la salvezza di tutti. Ma accetterei quel figlio se almeno il giorno in cui egli pare vincere la morte, motivo per cui sarebbe venuto sulla Terra, esso ci concedesse ciò che di più+ umanamente bello esiste: il sorriso.

Francesco Cossa, mese di Aprile (trionfo di Venere)

mercoledì 25 dicembre 2013

La zattera rischiosa. Buon Natale dal Maestro delle Balene.

yes

Vorrei consegnare al giorno di Natale una visione-riflessione che in questi ultimi tempi mi sta accompagnando, prendendo corpo piano piano. Vedo una zattera, in mezzo ad un mare ora agitato, ora in calma piatta. Non è una visione serena, anzi, si porta un carico di angoscia. Quella dei suoi passeggeri, un gruppo di sopravvissuti. Gente di varia provenienza, per ceto, nascita, età, geografia.
So solo che c'è stato un prima per quella gente, una decina circa di vite. Ciascuna di esse prima perseguiva una sua traiettoria, in parte scelta, in parte motivata dai casi dell'esistenza, dalle alterne casualità, da quell'ingiusta determinazione che traccia il percorso chiamata contesto, ovvero ciò che non scegliamo ma nel quale capitiamo il giorno del nostro personale Natale, il giorno magico che è la nostra individuale Natività. Quel giorno non ci distribuisce in modo equo. La stalla in cui nasciamo è, purtroppo, il primo passo che facciamo. Buono, se il caso ci aiuta, meno buono se, invece, il caso decide di penalizzarci fin da subito.
Non partiamo tutti dallo stesso luogo, con le stesse chances.
Ciascuna di quelle persone, prima, aveva un mestiere, una famiglia, un senso da inseguire o d fortificare, o da cercare.
Poi un evento critico ha mutato la loro rotta. La grandissima nave, chiamata Occidente, su cui navigavano tutti, ciascuno secondo le proprie vite, ha iniziato a naufragare. Allora quelle vite si sono rese conto di essersi, improvvisamente, annodate assieme. I percorsi si sono necessariamente accostati, avvicinati e annodati. La crisi fa questo: ci avvicina, anche spiacevolmente.
Annoda le vite. E i nodi non sono piacevoli, mai.
Ma senza di essi, qualsiasi vela si strappa.
Per cui i nodi sono necessari.
 Il vero problema è quando i nodi non ci sono. Perché i nodi, gli odiosi nodi, tengono assieme.
Non ce ne accorgiamo, ma fanno questo.
Anche se piagano le carni, se pungolano, se costano fatica immensa sia nel momento in cui li facciamo che in quello, dolorosissimo, in cui dobbiamo provare a scioglierli.


I sopravvissuti ora sono su questa zattera, in preda alle condizioni critiche e imprevedibili di questo mare. Non conta più il mestiere fatto un tempo, il tenore di vita, la traiettoria scelta. Ora è questo mare sconfinato e pauroso a determinare la loro sorte.
L'essere annodati spinge questi personaggi a sbagliare. Quelli un tempo più fortunati, incolpano quelli un tempo meno fortunati: sono quelli, col loro peso improduttivo ad avere affossato il veliero Occidente. Essi non hanno pagato il carbone per i motori eppure hanno goduto del privilegio di navigare! 
- Già, - ribattono gli sfortunati, - ma mentre voi pensavate al carbone noi curavamo i vostri vecchi, noi davamo speranza ai nostri figli facendoli studiare perché dessero anche loro carbone per voi!
 Poi ci sono quelli che vengono da altrove, che si sono imbarcati di nascosto oppure chiedendo un permesso sperando in tempi migliori: a loro i sopravvissuti rimproverano di non essere veri passeggeri dell'Occidente. Il loro peso straniero ha fatto naufragare la nave, colpa del capitano benevolo che li ha fatti montare e dato loro persino delle cabine piccole! 
Gli stranieri ribattono che non si appartiene alla terra in cui nasciamo, in essa mettiamo solo radici. Ma come gli alberi protendono, dopo aver messo radici nella terra, il fusto e i rami nell'aria, così ognuno può e deve, se la vita è ingiusta, distanziarsi con dolore dalle proprie radici per trovare aria altrove. 
- E perché mai? - Ribattono i conservatori della zattera, - rimanete dove siete nati!
- E perché mai dovremmo? - Ribattono gli stranieri. - Avete sfruttato, conquistato, colonizzato, violentato la terra delle nostre radici. Se a voi hanno concesso questo, perché mai noi non dovremmo venire a prendere aria da voi?
Nel discutere, i dieci so agitano, si muovono. Desiderano far valere le proprie ragioni e violentemente sganciano i nodi delle loro vite. Così facendo, anziché stare al centro, si spostano verso i bordi della zattera e questa si sbilancia.
Così che questa si capovolge e si sfilaccia.
Chi non sa nuotare, perché non ha potuto imparare affoga.
Qualcuno più forte, si aggrappa ai tronchi.
Ma giungono gli squali e lo divorano.
Qualcuno resiste a galla finché lo sfinimento non lo trascina verso l'abisso.
Tutti, nell'attimo prima di morire, pensano che era meglio, forse, il nodo doloroso della convivenza e del compromesso.
Ma è tardi.
Ora si muore.
L'Occidente scompare.


Non ho voglia di pensieri felici, questo Natale. Sono felice delle belle emozioni che la mia vita, vita da passeggero di zattera, mi ha dato e tolto (perché seppur tolte mi hanno arricchito), felice di questo Natale, perché è il primo con la mia splendida nipote Lidia che ci sorride mentre mangiamo assieme, contenti solo di questo. Perché stare assieme è ora una fortuna, la massima.
Ma non voglio pensieri felici, nè voglio fare auguri che si appoggino ad un senso di casualità e di benevolenza divina. Come se l'anno buono che verrà dipendesse dallo zodiaco o da una qualche divinità che, quando il Mondo è sconvolto da simili tragedie (e penso alla Siria, alle rovine di Fukushima, ai quotidiani genocidi africani), sarebbe proprio ingiusta a donare a noi un anno buono. Dovrebbe prima pensare ad altro.
Se l'anno sarà buono e se questo Natale avrà un senso, gli dei, se esistono, non avranno meriti così come non avranno colpe se non sarà così.
Il destino e il presente li costruiamo. Perché il presente altro non è che il destino a cui abbiamo dato basi ieri. E forse le abbiamo date male, quelle basi.
Perché stanno crollando.
Le assi del veliero cigolano paurosamente e sappiamo tutti che l'Occidente sta affogando, miseramente.
Accettiamo, dunque, i nodi.
Accostiamoci e desideriamo condividere la sofferenza, annodando le vite, senza incolparci gli uni con gli altri, i fortunati con gli sfortunati, gli autoctoni con gli stranieri.
I vecchi coi giovani.
Tutti.
Solo se stiamo vicini e ci capiamo, capiamo che siamo parte di un unico equipaggio, sopportando e cambiando modo di vedere.
Io posso ribadire che ho messo carbone ma dovrò pur riconoscere che se mio nonno, ora, è qui sulla zattera, lo devo a quella donna straniera laggiù, che non dava carbone, ma si prendeva cura di lui.
Devo capire che siamo alberi e che cercare aria, luce e pioggia è un diritto di chiunque.
Che se l'Occidente ha un tempo infettato la terra e le radici altrui, oggi non ha alcun diritto di chiamarsi fuori. Ebbero ragione gli antichi greci: le colpe dei padri ricadono sui figli.
La memoria e la coscienza collettiva non possono venire meno.
Mai!
Non si appartiene all'Occidente perché ci siamo nati dentro. Si appartiene se decidiamo di salire su quella nave.
Il che è costruire un destino di consapevolezza nuova: stare in tanti, annodati, nel momento buono come in quello meno buono.
Ma le cose non mi pare che vadano in quella direzione.
Le varie zattere che ci stanno accogliendo, sembrano destinate tutte a fare la brutta fine di quella in cui mi imbatto ultimamente.
Io lo insegno ai bambini a tenere la zattera in equilibrio.
 A scuola io non voglio che i bambini imparino che 'stare insieme è bello'. Perché è una menzogna.
è bello stare assieme con chi amiamo e chi ci piace.
Ma non siamo destinati a questo.
Stare insieme PUO' essere bello, ma prima di tutto è faticoso.
E necessario.
Questo insegno: che stare insieme è prima di tutto necessario, che è faticoso e poi, in ultima istanza, può essere bello.
Stare insieme è uno scopo.
Da costruire senza mai abbassare la guardia.
Questo auguro a me e a voi, amati amici, per questo Natale.

Non diamo voce alle menzogne retoriche.
Regaliamoci il tempo di capire e cambiare.
Di sopportare anche il nodo doloroso.
E non mi riferisco alla croce cristiana, che mi inorridisce.
Il nodo doloroso è un laico senso di faticosa costruzione.
Sono certo che percepiremo, un domani, di avere costruito.
Faticosamente.
Ma incredibilmente con solidità.

Statemi bene e, se riuscite, non affogate!

Il Maestrodellebalene















lunedì 9 dicembre 2013

Ora che la sinistra è morta, Berlusconi ha davvero vinto.

la sinistra, o meglio quello che sopravviveva (male, malissimo) di lei, è morta. Definitivamente. Lo dice uno che non è andato a queste primarie perché, pur consapevole di essere perdente in partenza, rimane determinato a mantenere vivo quello strano progetto chiamato SEL che, con tutti i limiti che gli si è voluto affibbiare, continua a sembrarmi l'unica proposta realmente innovativa e di sinistra nel nostro paese. Ma ormai anche SEL si è sgretolata sotto l'incapacità di venire accolta, perché troppo a sinistra per essere parte di questa carcassa centrista, corrotta e malsana che è stato il PD in questi ultimi anni.
La vittoria di Renzi è il completamento finale della sovversiva rivoluzione Berlusconiana. Duole dirlo ma Berlusconi è stato l'unico uomo politico da trent'anni a questa parte capace di una vera rivoluzione. Una rivoluzione in peggio, una rivoluzione malata ma tanto forte e potente per mezzi e persuasione da invadere, infettare e capovolgere un sistema di valori, ideali e sistemi di pensiero non solo a livello sociale ma anche politico. Il Berlusconismo è divenuto sistema esso stesso ed ha corroso, inquinato e contaminato proprio la parte avversa aprendovi dentro una duplice ferita, un'ulcera bicuspidata. La divaricazione ha concesso solo due vie: o la sterile critica a Berlusconi per mantenere intatti privilegi di partito; o l'adesione al medesimo stile di pensiero e di tattiche del nemico, cioé Berlusconi stesso.
Scioccati a livello identitario, gli italiani come me di sinistra, hanno tergiversato su questa ferita purulenta. Nessuno ha voluto sanarla, richiuderla, disinfettarla. No.
Abbiamo anzi messo il dito nella piaga che giocava alla poltrona simulando critiche sterili al nemico, sperando che essa ci salvasse: in quel malefico canyon di pus, ci abbiamo messo il centro, ci hanno sguazzato i D'alema, le Finocchiaro, le Bindi, i Prodi, i Bersani.... e la piaga ha fatto cancrena e si è amputata da sola. Dopo un decennio di dolore, puzza, putredine a cielo aperto. Altri hanno intrapreso la via della seconda testa della ferita, quella in cui i berlusconiani di sinistra rottamavano, aggredivano l'altra parte del medesimo male. Renzi viene da qui, da una parte altrettanto malata, populista e rabbiosetta di italiani che al momento di scegliere, qualche mese fa, hanno optato, nel dubbio, per l'altro grande Rottamatore: Grillo. Pericoloso, anzi, pericolosissimo rigurgito fascistoide. Anche lui prodotto berlusconiano. Anticorpo berlusconiano, direi. Una sorta di malattia autoimmune che il sistema del Grande Silvio ha prodotto per poi trovarselo rovesciato contro.
Non che Civati, l'unico dei tre in gioco per queste funebri primarie, fosse cosa migliore. Ma Renzi segna la resa finale.
Non credo che ci sarà un dopo per la sinistra.
La speranza di un ritorno ai valori della sinistra.
Renzi conferma come la vera identità italiana, che la si veda da destra o da sinistra, rimanga il centro moderato d'ispirazione cattolica. L'ennesimo democristiano che, con un'adesione allo stile mediatico e piacione ben confezionato da Berlusconi, conquista l'elettorato.
Lo conquista con questa sbandierata politica del fare, anzi, con la retorica del fare che è perniciosissima perché si basa sul quantificare e non sul qualificare, sul contare e non sul valutare, sul far vedere e non sul far comprendere. La politica del fare l'abbiamo vista all'Aquila, l'abbiamo contestata a Berlusconi ma ora che si tratta si scegliere, abbiamo concesso che essa, inaspettatamente, ci convincesse. Strano, non trovate?
Renzi non è un uomo di sinistra. Non appartiene nemmeno a quell'idea ancora confusa, irreale, contraddittoria a cui molti si appellano parlando di 'una sinistra moderna ed europea'.
Vorrei che mi si dicesse, innanzi tutto, dove è questa sinistra moderna e chi la rappresenta? Blair? Zapatero? Hollande?
Dunque, posto che un Renzi, o chi per lui, s'ispirasse ad uno di questi signori, saremmo a posto?
Se così fosse, confermo la mia idea che questa sinistra nuova non mi piace. Se l'Europa, che come si vede sta virando spaventosamente, di nuovo a destra, cova in sé una sinistra di quel tipo, allora diciamolo. Ancor prima che qua in Italia, la sinistra è morta ovunque.
L'ambiguità con cui Renzi ha risposto su Sky alla domanda sui matrimoni paritari e sui diritti di adozione delle coppie Gay è emblematica del fatto che quell'uomo non garantirà una vera, significativa riforma.
Rottamerà. Ma dovrà cavalcare e appagare l'elettorato che lo ha così potentemente elevato oggi. e quell'elettorato è fatto in massima parte da una borghesia mediamente illuminata, che dal salotto buono arredato con cosine carine e costose comprate al mercatino equosolidale, si sente tanto, tanto vicina ai problemi sociali. Quella che vota Renzi è in massima parte la borghesia patinata e privilegiata dei film di Ozpetek.
E' la sinistruccia dei piccoli grillini in attesa, quelli per i quali Grillo dice cose giuste ma no, Grillo proprio no.
Poi c'è tutta una nuova fascia elettorale. Quella che di sinistra non è. Quella che guarda a Renzi con maggiore schiettezza. Perché non ha da inventarsi che sia un uomo di sinistra. Lo vede per quello che è: un ragazzo saccente, televisivamete ok, che semplifica le cose complesse, che parla sapientemente per spot e che, alla fine, terrà la barca pari perché in questo i democristiani sono storicamente scafatissimi.
Continuerò a sostenere, fino a prova contraria, che Renzi è un uomo profondamente di destra. Empirico, cinico, scaltro.
Machiavelli, suo concittadino, forse ne avrebbe apprezzate certe doti ma non altre.
Nessuna città meglio di Firenze poteva generare una creatura così potentemente ambigua e forte. Una città che non è mai stata realmente di sinistra pur fregiandosi di esserlo. Una città ricca, sontuosa che ha applaudito figli pericolosissimi quali Oriana Fallaci, altra figura terrificante nei confronti della quale si sarebbero dovute prendere ben più marcate e sicure distanze. La Toscana è la terra che ha dato i natali alle insormontabili ambiguità di un Montanelli che ancora oggi ci tocca sentire nominare come grande giornalista senza poter dire, nemmeno da sinistra, che fu uomo ambiguo, colluso, affascinato dai poteri forti (Mussolini prima e Berlusconi dopo....). In Toscana, una terra mediamente benestante e profondamente provinciale, solo la realtà di Livorno fa veramente eccezione. per il resto è terra d'una sinistra salottiera, di potentati territoriali di sinistra pericolosissimi (Siena sia da monito in secula), di leggerezze imperdonabili. Dove parrocchia e circolo Arci sono spesso il paradossale doppio volto d'una medesima faccia.
La terra del tarallucci e vino, che si mobilita ma che non vuole mai essere turbata, i cui equilibri devono rimanere statici e immutati come nei quadri del Rinascimento.
Una terra sottilmente rabbiosa vestita di quiete apparente.
Da qua s'eleva l'ascesa di Renzi.
Da questa terra non sincera giunge dunque l'uomo che oggi ha posto definitivamente fine alla sinistra.
Rottamerà, ne siamo sicuri.
Semplificherà e questo mi atterrisce.
Storicamente la sinistra guarda la complessità.
La destra semplifica.
Ma a guidare la nuova compagine sarà Renzi.
Sarà lui a portarci ancor più lontano da quel senso autentico di apertura, di ascolto, di volontà di mettersi alla pari coi diversi, di prendersi davvero a cuore i più deboli, cioè lontano da quei motori interiori che un tempo, ormai distante, furono chiamati 'identità' di sinistra.
Requiescat in pace.


















sabato 30 novembre 2013

Umida è la terra, e gravide le fosse


Umida è la terra e gravide le fosse
lunghe nei campi come serpi bagnate,
chinata la testa hanno del melograno
scompaginati i rami da forti scosse.
lontane son state le vette lavate
ed ora nel freddo, mi perdo lontano.



lunedì 25 novembre 2013

Io che amo le donne e immensamente gli uomini.

Se la mia generazione, quella compresa fra il 1970 e il 1980, avesse avuto accesso a ciò che le spettava, ovvero al ricambio che le avesse concesso di agire ed incedere sulla società, di collocarsi laddove ogni generazione dovrebbe, ovvero nella gestione della Cosa Pubblica, molte cose forse sarebbero andate diversamente.
A partire dalla questione delle donne.
Invece ci hanno fregato, sprofondati nell'intercapedine che ormai ingoia tutto. In questo paese di vecchi (e quando dico vecchio non intendo SAGGIO ma intendo STANTIO, FERMO), anche la questione delle donne, assieme a tanto altro, è ferma, indietro anni luce.

ok

Oggi si festeggia la giornata contro la violenza alle donne. La giornata del fiocco bianco. Fino a qualche anno fa anche io mettevo il fiocco, quando ancora le giornate tematiche erano poche e celebrare qualcosa poteva avere un senso.
Ora non lo metto più.
Non perché non voglia combattere accanto alle donne per la loro incolumità e la loro dignità, bensì perché in questo inutile tripudio di celebrazioni tutto si appiattisce, diventa azione momentanea, memento fulmineo, lavatina istantanea di coscienza.



Per non parlare di questa usanza così sterile e granfratellesca del Flashmob: ora si fanno flashmob per ogni occasione, dalla più futile a quella più rilevante, in verità piuttosto per assecondare orde di affamati di protagonismo collettivo, per coreografare tutto. Tutto è coreografia, danza, sincronizzazione. Un'immensa trasposizione nel sociale di quel marcio sistema coniato e forgiato da Maria De Filippi che ha trasmesso ad un'intera massa umana, ahimè soprattutto  alle nuove generazioni, il senso che la democrazia sia fare caciara, gridare la propria, ballare anche se non si sa ballare, fare l'eco a quello che grida più forte. Fare massa. Che è l'opposto, secondo me, di ciò che dovrebbe essere la democrazia.



Mi fanno tristezza le attrici seriose che recitano per le donne orribili poesie, le ragazze che fanno i flashmob per sostenere le donne, le persone che oggi sentono potentemente un tema antico e drammatico come fosse cosa nuova, cosa dell'ultima ora.
La subordinazione della donna ad un sistema di pensiero maschilista, quello che ha dominato la maggioranza delle civiltà dalla notte dei tempi, è un tema crudele e arcaico.

Sentire oggi gli interventi in TV, quelli promossi a vario livello dai comuni, quelli online e sui socialforum, mi ha fatto spesso inorridire.
A respingermi non il tema in sé, che è sacrosanto (purché la si finisca di usare la parola FEMMINICIDIO con quella morbosa e compiaciuta voglia di conformismo mediatico che è toccato, tempo fa, a parole come TSUNAMI, KAMIKAZE, TERRORISMO, SCIAME SISMICO).
Nelle forme del trattamento superficiale e sensazionalistico che se ne fa, l'argomento vende bene e distrae dalle profonde e preoccupanti magagne del nostro paese che sta morendo mentre facciamo finta di sperare.
Un paese che non riesce a mettere fuori uso un presidente del consiglio che sulle donne ha operato un'azione di inqualificabile svalutazione mercificante, perché mai dovrebbe sensibilizzarsi un giorno all'anno contro la violenza alle donne se l'ha legittimata fino ad oggi nella codifica di un sistema sociopolitico secondo cui, per anni, le poche donne che hanno conquistato prestigio sono state le più abili con gli apparati genitali e non le loro menti? Ma perché nessuno si è incazzato sentendo la Polverini parlare ieri di femminicidio e sostegno alle donne? Ma se Mara Carfagna è stata per anni ministro delle pari opportunità, dopo aver precedentemente assecondato quel sistema maschilista che collega l'uso-abuso del corpo femminile (giornale, rivista, calendario da garage o bottega del barbiere di serie B) con la pratica quotidiana della cosificazione della donna, perché mai dobbiamo tollerare che a parlarci del rispetto alle donne siano proprio coloro che hanno fomentato la violenza su di esse?



Dicevo che molti interventi mi hanno fatto inorridire.
Perché?
Perché superficialmente oggi tutti gli uomini sono diventati cattivi.
In questa sorta di 'volemoLE bene' collettivo, compulsivo e non meditato, l'uomo, entità maschile, è diventato paradigma.
Paradigma del male, l'uomo.
Paradigma della fragilità sottomessa, la donna.

Io francamente non ci sto.

Così si banalizza, si fa una populistica riduzione a minimi termini sbagliati. Ridurre ai minimi termini va bene se i calcoli son giusti e se l'analisi del problema, complesso, articolato, stratificato, è stata compiuta con serietà.
Io non faccio parte di quegli uomini che offendono le donne. Lo posso sottoscrivere. Tanto meno appartengo alla stirpe dei picchiatori (una volta sola mi sono menato alle elementari con Miria, una mia coetanea, ma ne presi più di quante ne ho date). Nemmeno mio padre ha mancato di ripretto a mia madre o a sua madre. Nemmeno mio fratello. Nemmeno Stefano, nemmeno Daniele, Alessandro, Marco, Nicola e via, via, potrei stendere la teoria dei miei amici, colleghi e parenti che non rientrano in questa riduzione ai minimi termini.
Io non voglio trasformare questa giornata nel 'facciamoci un esame di coscienza, noi uomini siamo sbagliati'.
Ci sono molti uomini sbagliati, anche molte donne probabilmente.
Ne ho conosciuti e ne ho conosciute.
Quegli uomini dipendono e amplificano un sistema di riferimento che rimane maschilista e prevarica le donne.
Io oggi mi metto contro il sistema, non contro gli uomini.
Io non sono un uomo sbagliato. Così come non sono un italiano che ha votato Berlusconi, non sono un italiano che non paga le tasse, non sono un italiano che discrimina gli altri per le scelte di fede o affettive, e sono un italiano che pensa davvero che uomo, donna o transgender non faccia differenza legalmente e sul piano della dignità. Le differenze le amo, ma di fornte ai diritti per me siamo davvero uguali. Tutti. Sono fieramente un bell'italiano, come tanti che ho intorno. Appartengo alla parte sana di questo paese, quella che non ci sta a fare di tutta un'erba un fascio.
Quella che non viene fuori ma che c'è.
Grazie a Dio c'è.

Oggi quella parte sana, fatta di donne privilegiate e uomini fortunati, si dovrebbe riunire in un grande abbraccio protettivo entro il quale fare sentire le donne che hanno subito abuso serene, consapevoli di avere una nuova prospettiva.
Prenderci cura di loro, noi uomini fortunati e voi donne privilegiate. Questo dovremmo fare. Dico donne privilegiate non per polemizzare ma perché sono il primo a riconoscere che se una donna oggi riesce ad emanciparsi e a vivere uno stato di (quasi totale, ma non ancora totale) parità con gli uomini, senza subire alcuna discriminazione o offesa, beh, quella donna è privilegiata (probabilmente per estrazione sociale, per cultura, per area geografica di appartenenza o, cosa ancor più stupefacente, per forza d'animo e coraggio). Privilegio qua non sta per 'aristocratico beneficio' bensì significa'dono, fortuna'.
Nascere in un luogo piuttosto che in un altro, in una famiglia piuttosto che in un'altra, in una fede religiosa piuttosto che un'altra, può essere una sfortuna o una fortuna. Non si nasce tutti uguali, la vita non distribuisce a tutti le stesse chances.

Avrei voluto sentire discorsi misti, che non contrapponessero uomini e donne, ma che accomunassero gli italiani e le italiane migliori in un grande movimento di riflessione e azione sul problema irrisolto della prevaricazione sulle donne.
Ma torno a dirlo: se ci fossimo stati noi, forse le cose sarebbero state diverse.
Noi che nelle classi miste avevamo compagne bravissime, spesso le migliori; noi che con le donne abbiamo riso, gareggiato, studiato, scambiato opinioni, ci siamo amati, lasciati, bisticciati. Senza mai dubitare che un medico donna, un dentista donna, un professore donna, un'autista donna, una superiore, avessero qualcosa in meno di un corrispettivo maschile.
Essere laddove le proprie capacità ci dicono di andare è un diritto senza genere. Noi, della nostra generazione, questo non lo abbiamo solo capito, lo abbiamo interiorizzato.
La mia generazione, che era bellissima, forse la più bella e lo dico senza presunzione, ve lo avrebbe insegnato: a voi più vecchi che anche nel migliore dei casi, al sistema maschile fate riferimento; a voi più giovani che siete stati allevati nell'aria vuota e nell'arroganza dei talk show.

Stasera io amo le donne, intimamente, profondamente.
Ed amo gli uomini, amo i molti che sono nella mia vita, la loro non scoperta complessità, il lato meno conosciuto che attende la luce.
La sensibilità azzurra che li rende persone speciali.
Perdonatemi se stasera mi accosto per solidarietà a questi, capeggiati da quell'uomo straordinariamente umano, rispettoso e moderno che è stato mio padre.
Facciamo un grande falò, che ci scaldi sulla riva del mare in questa fredda e tersa notte stellata.
Per accoglierle.
Accogliere le nostre muse, le compagne, le figlie, le madri, le amiche, le amanti, questo stuolo meraviglioso di speciali viaggiatrici che ancora hanno un bagaglio da portare più peso del nostro. Non per colpa nostra. Ma proprio per questo, per farle sentire in tutto e per tutto viaggiatrici autonome del viaggio, dobbiamo aiutarle a svuotare quel bagaglio, a renderlo esattamente peso come il nostro.
Dobbiamo equilibrare i bagagli.
Conterranno ciascuno oggetti e abiti differenti, ma saranno in peso uguali.
Quando avremo bruciato le eccedenze, nel falò, quando saremo uguali in peso e diversi in sostanza, allora speriamo che le cose cambino davvero, in profondità.
Partiremo allora.

Dedico una stella tutti gli uomini fortunati, alle donne privilegiate ma, soprattutto, alle donne che ancora stanno sotto il peso malato di uomini sbagliati.
A voi dico: sono con voi ma io sono un uomo infinitamente migliore di quelli che avete avuto la sfortuna di incontrare. E con me, a tendervi la mano, ce ne stanno tantissimi.
Qua intorno al fuoco.
Sotto le stelle.

















domenica 24 novembre 2013

Le danze pericolose del tardo autunno.

Come se
del cielo rinfrescato
avesse sfiorato la terra
la guancia
in un gelido attrito.                          

Una stasi d'umido
s'è allargata
simile ad un
capovolto
orgasmo.

Rattrappirsi.
Il faro, nella notte,
un riccio tardatario
agguanta
nel fascio opaco.                          

Ora, sì,
escono ora
dalle dimore celate
d'edera,
da cascate di
verde insidioso.
Escono
le signore cupe
dell'ultim'autunno.

Danze, ci sono,
pericolose
nelle vie montane,
che non si devono
ballare.
Le vecchie ascolta.
Il monito loro
meglio
funziona
dell'aglio.

A guardia
d'offuscati passaggi,
penetra l'osso della madre
terrosa
il passo cadenzato
del disfacimento.

Ne senti l'odore?
Fungo e foglia marcia,
umida terra e legno.
Quando i velari
di nebbia intrappolata
fra i crinali,
s'acquieteranno,
allora
sarà inverno.






lunedì 18 novembre 2013

Un esperimento: nel tempo e nello spazio lontano. L'Inghilterra pastorale.

Il pittore John Constable, indiscusso maestro del Romanticismo inglese, è noto al grande pubblico per un numero ristretto di opere. In genere i manuali di storia dell'arte riportano il suo bucolico 'Mulino di Flatford', e qualche studio delle sue mirabili 'nuvole'.











Fu una vera ossessione quella che lo imprigionò in un costante studio sul tema delle mutevole viaggiatrici dei cieli per tutta la vita.


Ma Constable è un artista dalla produzione sostanziosa. Egli riveste un ruolo centrale negli sviluppi della grande rivoluzione pittorica ottocentesca. Proprio dagli studi sul paesaggio e sulle nuvole, centrati sul rapporto che il trascorrere della luce solare produce sulla realtà fisica, i grandi innovatori del XIX secolo diramarono le loro sperimentazioni che ebbero nomi altisonanti: realismo e impressionismo.
Fra il 1821 e il 1824 le sue opere esposte a Parigi conquistarono i giovani pittori e Delacroix si dichiarò debitore dell'incredibile capacità di analisi ottica dell'artista inglese.
Ma chi era Constable?
Era nato nel Sussex, in una campagna inglese che grazie alla sua pittura è divenuta un paesaggio mentale di portata mondiale al pari della Toscana o della Borgogna.
Quel paesaggio lo nutrì e divenne tema dominante e infinitamente declinato della sua pittura. Fu, infatti, essenzialmente un paesaggista. Diede alla veduta, atmosferica, densa, palpitante, dignità di soggetto nobile.
Sappiate che quando leggete un romanzo di Dickens, ogni qualvolta i personaggi si avventurano nel territorio rurale dell'Inghilterra vittoriana, siano essi David Copperfield o la povera Nelly col nonno in fuga, ebbene, voi state immaginando la scena ambientata in uno scenario che è stato Constable a costruire.
La potente visione verdeggiante di questo artista non solo ci restituisce la visione meno consacrata di un paese, l'inghilterra, che fino al XIX secolo aveva regalato poco al mondo in termini di pittura e quel poco riguardava per lo più Nobili e Signore in parrucca entro scenari arcadici o situazioni grottesche di vita cittadina. Quella del pittore del Sussex è l'Inghilterra pastorale, un territorio autentico, ordinato e antropizzato ma dove la relazione faticosa uomo-natura si compone di tre elementi sostanziali: paesaggio (ed è il verde a dominare), elementi rurali che indicano il lavoro dell'uomo (e le tinte sono quelle dei marroni), il tempo atmosferico (dove luce e nuvole si contendono una gamma che dal grigio scivola fino al cobalto).
Capita spesso di imbattersi in luoghi amati dal pittore, ad esempio un piccolo cottage con recinto presso un boschetto. Quei luoghi ricorrono, più volte, ora in autunno e poi in primavera. Stessi luoghi, sentimenti mutati. La luce e la stagione li vestono d'abiti emozionali differenti. Anche in questo fu precursore di similari ricerche nel campo dell'impressione.

Guardando questi remoti angoli di campagna inglese, si sente un movimento ampio di vento, un respiro naturale che profuma d'erbe, di bacche, di umidità.
La vita di Constable fu tormentata e sfortunata. L'arte non gli concesse grandissime entrate, lui stesso azzardò, dilapidando. L'amata moglie Maria Bicknell, morì dopo aver dato al mondo il settimo figlio. Allevò da solo i figli ma non fu un oculato amministratore del denaro sicché visse anni malinconici e tormentati.
Eppure, nella sua arte, tutto questo sembra filtrato e sublimato nell'enorme alito di cui vivono ampi panorami, vedute di marine nordiche, di colline e pascoli in fuga verso orizzonti ora quieti ora malinconici.
A questo punto vorrei chiudere la riflessione su un grande pittore forse troppo poco conosciuto, riagganciandomi a quanto dicevo poco sopra, sul fatto che Constable ha consegnato ai posteri un immaginario che è diventato un patrimonio culturale e visivo.
Così come Dickens ambienta le sue storie in paesaggi alla Constable, ancora dopo possiamo ritrovarne intatta la poesia nel mirabile panorama sonoro di alcuni compositori inglesi attivi fra la fine dell'800 e la prima metà del '900. Esiste una vera e propria scuola di musicisti 'pastorali' che grazie alle infinite sfumature dell'orchestra sinfonica, seppero descrivere il paesaggio inglese, quello di Consatble, con prezioso trasporto, senso lirico, dolcezza e struggimento. Si tratta quasi sempre di musiche superficiali ma non nel senso negativo del termine. Esse suggeriscono, descrivono, senza cercare altra verità che quella del godimento d'una passeggiata fra verdi colline e boschi.
Sono musiche estetizzanti come estetizzante è quasi per intero la cultura anglosassone.
In questa cerchia di musicisti, si staglia la stazza d'un prolifico e aristocratico compositore, Sir Vaughan Williams. Bene, ora vi chiedo di osservare per circa un minuto, in religioso silenzio, il dipinto sottostante. A seguire cliccate il link che troverete subito sotto l'immagine ed ascoltate ad occhi chiusi la meraviglia della musica.
Concedetevi 11 minuti per voi e per questo rito.

Poi ditemi se occhio, orecchio e cuore non hanno mai trovato più assoluta unità.
Grazie del vostro tempo.









http://www.youtube.com/watch?v=E5tquD727ik




lungomare. Un omaggio alla Versilia e alla sua luce




domenica 17 novembre 2013

La scelta della forma. Tornare al pensiero.

Ogni tanto provo a disintossicarmi da questa droga chiamata social forum.
Stavolta, ho idea, mi concederò un periodo di distanza più lungo e più sensato.
Se è un luogo comune l'affermare che ci stiamo allontanando gli uni dagli altri, che ci buttiamo su relazioni umane virtuali per poi trascurare quelle reali, andrà una volta di più sottolineato che i luoghi comuni esasperano quasi sempre dati effettivamente dimostrabili.
Ho sempre pensato che FB fosse uno spazio rischioso, una lama tagliente che seziona il lecito dall'illecito, il sano dall'insano, il creativo dall'omologato.
Come molte delle cose neutre che ci circondano, è l'uso che ne facciamo a stabilire le loro correttezza etica.
Penso di avere sempre usato FB con intelligenza seppur a volte con eccesso.
Il mio uso personale di FB è sempre stato similare a quello di un blog. A seguito della presa di coscienza che fra coloro che seguivano i miei post, c'era chi desiderava leggere solo il lato di me più artistico, conciliante o poetico, criticando o non comprendendo tutta l'altra fetta di me, ho creato questo blog dove sentirmi più libero.
Ho diminuito le riflessioni complesse su FB perché mi rendevo conto che molte persone non si concedono questo lusso strepitoso che è detto complessità.
C-o-m-p-l-e-s-s-i-t-à.
E lì che, ancora oggi, colgo l'inghippo. Il social forum tende a banalizzare e a rifuggire la complessità: in quell'intreccio di bacheche virtuali, ci ritagliamo profili ad uso e consumo di... Per cui se io sono il maestro poetico e un po' romantico, così devo persistere. Viceversa se, fedele al mio essere, rivelo anche un pensiero critico sostanzialmente feroce, un lato spinoso, un mio essere che contempla anche la critica, la riflessione cupa, ecco che si affacciano le critiche di chi non comprende o chi desidera un 'me corografico, compatto, unilaterale'.
Ma io non ci sto.
Chiunque, oggi, rifugga dalla complessità, è destinato a schiantarsi nel futuro. Essere complessi, come di fatto siamo, ci permette di ricercare e di provare a conciliare le opposte correnti che attraversano l'arcipelago interiore del nostro viaggio. Solo chi è complesso nel guardare e nell'ascoltare, sa essere complesso nel pensare. E dunque può capire il mondo.
A fronte di questo frustrante rifiuto dell'altrui complessità, FB mi rivela costantemente una pletora di persone che sentono, così, di dover comunicare le azioni e i pensieri di ogni momento della loro giornata. In genere oscuro quelle persone, ovvero non tolgo loro l'amicizia ma scelgo l'opzione che mi impedisce di vedere gli aggiornamenti (a volte terribilmente frequenti, anche nell'ordine dei secondi) dei loro profili.
A me piace leggere le riflessioni di persone che conosco o con le quali ho una qualche forma di relazione; non sono moltissime quelle che compongono la lista dei miei amici.
Amo leggere e discutere, al limite, riflessioni, battute, poesie, critiche: MA AMO LEGGERE COSE CHE SIANO IN PRIMIS FARINA DEL SACCO DI CHI SCRIVE (e non le condivisioni di quei terribili e preconfezionati messaggi ora amorosi, ora spiritualistici, ora moralistici, ora falso sapienziali, ora falso ecologisti, ora allarmistici, ora fautori di una controinformazione totalmente sbagliata e per nulla documentata) e poi, soprattutto, amo leggere cose che siano pensate.
Perché bisogna pensare prima di agire e di parlare, ancor più prima di scrivere.
E invece in questo sistema di comunicazione veloce, quasi istantanea che rende FB una chat più che un forum, tutto scorre via veloce; si accusa, si afferma, si giudica, si commenta, si esterna senza meditare, senza fare ricerca, senza contare fino a 10. E si chiede scusa, come faccio sempre io, quando a commento di un'altra persona ci si permette di obiettare (e lo faccio sempre contando fino a 10, spesso desistendo dall'impresa). Perché anche se è un forum, la bacheca è personale e siamo liberi di leggere o non leggere i post altrui.
Io credo che dobbiamo ritrovare la dimensione del tempo: e nel tempo trovare quella del pensare: e nel pensare identificare la dimensione della coerenza. Quando infine abbiamo valutato di essere coerenti, possiamo procedere.
Tutto allora acquista un piacevole senso di spessore: la battuta, anche la più lieve, così come la poesia, come la riflessione politica o religiosa, lo spunto creativo, la grottesca o ilare frivolezza, la condivisione di un'immagine, di un video, di un sogno.
Date a ciascuna di queste possibilità il pensiero ed avrete un piccolo tesoro. Perchè pensando avrete dato loro forma.
Senza pensiero la forma manca e la forma non è solo l'esteriorità delle cose. Nel bene e nel male siamo figli della civiltà classica. In quell'alba di grazia e tragedia, abbiamo appreso che forma e contenuto sono sostanza unica di ciò che facciamo.
Io alla forma ci tengo. Perché essa mi offre quasi sempre garanzia di un pensiero che l'ha organizzata.
Può essere anche sgradevole, oscura, aggressiva. Ma se è una forma, ha dignità di cosa pensata.
Io torno al pensiero e alla forma. Mi ci voglio radicare nel pensiero.
Vi aspetto tutti qua, in questo mare dove passo il tempo ad ascoltare le balene.
Qua, se passate, potrete lasciare qualsiasi traccia, riflessione.
Purché concediate alla mano il riposo che sottende il tempo prezioso del pensare.
Pensiamo, vi prego.
Pensiamo.




domenica 10 novembre 2013

Felici e rabbiosi

Siate felici ma anche colmi di rabbia.
Che con questa luna e con questo sole,
chi è felice senza rabbia, gioisce di gioia sterile.

Siate rabbiosi ma anche saturi di gioia.
Che con questi venti e queste correnti,
chi è rabbioso senza gioia, fa seccare la vita.

Siate gioiosi, d'una felicità consapevole.
E reattivi alla rabbia, rendetela fertile.
Procedete come la tempesta primavera,
che spazza le carcasse ed ammanta il mondo di semi.

Non cercate la quiete delle vette,
perché è facile vivere da aquila solitaria.
Sono le formiche, nel brulicare della vita,
a soffrire e vivere veramente.

Non cercate una gioia posticcia,
quella dei mistici dell'ultima ora.
Quella dei giornalisti barbuti, ricchi e anacoreti.
Non cercate nemmeno la rabbia cieca,
quella degli urlatori e dei qualunquisti,
La rabbia di chi senza pensare ci vuol fare pensare.

Siate gioiosi e rabbiosi,
in egual misura.
Solo così verrà un tempo migliore,
in cui riporremo le armi
e potremo solo danzare.



martedì 29 ottobre 2013

Memorie di un maestro precario: - Maestro! - La terribile chiamata.

- Maestro! -
- Che c'è? -
- Ma te ti vesti sempre antico, sempre un po' cinese.... -
Avevo la camicia alla coreana nera. Tutto qua.

- Maestro! -
- sì? -
- Possiamo farti Filippa Lagherbac? -
Le guardo: sono tre. Biondissimairrequieta, Verticaleletterata, Silentemistero.
- Ho capito bene? -
- Sì, dai, possiamo? -
E' ricreazione, sono seduto sulla panchina. Vorrei controllarli a distanza ma respirare. Arrossisco e sorrido flebilmente. Sto per dire che non importa...che si allontanino.
- Ha sorriso, è un sì! - Esulta Verticaleletterata.
Mi sorbisco l'intero spot del deygam per ben tre volte. Le prime due non sono di gradimento delle attrici. La terza invece è un trionfo.
Muoio dal ridere.

- Maestro! -
- Ohioi, dimmi... -
Alle otto di mattina rispondo sempre con un - Dimmi bello, dimmi cara! -
Alle dieci e mezza già converto in - Su, che c'è? -
A mezzogiorno e quarantacinque è - Ohioi, dimmi! -
Ora è - Ohioi dimmi... - Manca dieci all'una.
- Maestro, ma quando si mangia? -
- Fra dieci minuti se e solo se vi sarete lavati tutti le mani ma vedo che siamo indietro! -
- Eh, ma non ci chiamano! - polemico, Piccolorappersfinente, accusa i due incaricati di chiamare i compagni per dar loro scottex e sapone.
- Nooon è vero! - ribadisce offesa l'incaricata, Verticaleletterata che è sempre corretta, onesta, buona. Ce l'ha tutte, poveraccia, per sopravvivere male in questa giungla di belve.
- Oh, noon è vero! Ora vuoi dirmi che non è vero? - La rimbrotta lui dabbasso, guardandola dalla sua bassezza. Lei lo scruta con occhi pieni di sopportazione:
- Bene, visto che ti ho chiamato per quattro volte e hai fatto finta di non sentirmi, ora te lo dico a modino. Vai a lavarti le mani. -
Sorrido: che signora. Che classe. Lui rosica. Sperava nella piazzata ma Verticaleletterta no! Lei è superiore. Niente piazzata.
Si guardano con una lunga pausa.
Gli occhi azzurri di lui sono furbi, bellissimi.
Le sorride.
- Scusa, sono proprio uno sciocchino. -
Riceve il sapone e lo scottex e a tempo di hip pop se ne esce di classe.

- Papà! -
-Eh????? -
- Oh dio, scusa Mestro, a volte mi scappa! Mi confondo. -
- Mi ci mancherebbe questa. -
Mi squadra malissimo.
- Che vorresti dire, scusa? Devo offendermi? -

- Maestro! -
- siiiiiiiii? -
- Ci porti in gita a Micene quest'anno? -

Poi penso a tutti noi di fronte alla porta dei Leoni, alle mura poderose degli Achei e nel tholos spettacolare della tomba di Atreo e penso: però, sarebbe mica male!


mercoledì 9 ottobre 2013

Perché l'Armonia ha a che fare con la guerra

Oggi riflettevo sulla musica. Sul concetto di armonia. Su ciò che essa effettivamente è e ciò che essa significa in un traslato simbolico. Poiché da quando faccio il maestro ho iniziato un percorso personale sugli archetipi, la mia testa va subito alle radici del pensiero occidentale. E, quasi sempre, mi trovo a ragionare di miti.
Cosa è l'armonia? Tecnicamente è il sostegno musicale generato da almeno due suoni sovrapposti in verticale che imprime ad una melodia un determinato effetto. La cosa più semplice da capire nel complesso mondo dell'armonia è il celebre 'accordo', l'unione di tre suoni in contemporanea, tre suoni in verticale, appunto che fra loro siano compatibili. A seconda dei suoni scelti e delle distanze fra loro intercorse, l'accordo armonico sortisce effetti emotivi diversi, positivi o negativi, tristi o allegri, cupi o luminosi. L'occidente ha ridotto questa dicotomia secondo due categorie modali, il modo maggiore e il modo minore. Ma gli antichi greci avevano capito che si potevano evocare molte più sfumature. Ora, senza entrare nel tecnico, vorrei fare notare che già nel parlare di suoni compatibili si ragiona di 'relazioni'. Non tutte le note stanno bene assieme se suonate nello stesso tempo. L'armonia è un insieme di note che, suonate assieme, producono un effetto soddisfacente.
Se mi passate un paragone, dobbiamo immaginare la melodia come una strada sospesa, curvilinea, e l'armonia come l'immensa struttura di piloni verticali che la regge. La distanza regolare fra i vari piloni, è il ritmo. Melodia, armonia, ritmo sono le tre parti fondanti di quel miracolo chiamato musica.
La melodia nasce nelle parti molli e sensibili del nostro corpo: la generiamo con il cuore, con lo stomaco, con la parte più superficiale  libera della testa. Ma l'armonia, e anche il ritmo, sono cose più cerebrali. Esse non nascono mai spontaneamente. Sono frutto di un'elaborazione. Tanto che la melodia può essere solo una (infatti è determinata da una sequenza solo orizzontale di suoni), mentre l'armonia necessita di almeno due suoni sovrapposti. La voce umana come qualsiasi altra voce animale può intonare una melodia, mai un'armonia. Per creare quest'ultima ci vogliono almeno due persone che cantino note diverse e, ripeto, compatibili. Dirò di più: la stessa melodia se sorretta da diverse armonie, può cambiare radicalmente il suo aspetto e i suoi effetti.
Ora, questo effetto della compatibilità ha molto a che fare con la relazione. Se ci pensate, essere in armonia con gli altri significa trovare compatibilità. Produrre un effetto soddisfacente. E qui nasce il grande fascino e la grande scommessa dell'Armonia sia come entità musicale che come simbolo della nostra complessa realtà di vita.
Forse ricorderete che Armonia nacque, quale dea, dall'unione di Ares, dio feroce della guerra e dell'aggressività, e di Afrodite, dea della seduzione, della bellezza, della fecondità spontanea.
Essa fu dunque la tregua fra odio e amore, emblema di una compatibilità che altrimenti si renderebbe inattuabile. Eppure, come figlia di cotanti genitori, Armonia ereditò da entrambi alcune caratteristiche. Bellezza, determinazione, ma anche bellicosità. Il mito non lo dice ma lo svela un tardo scritto latino, il De Nuptiis Philologiae et Mercurii (le nozze di Mercurio e Filologia) di Marziano Cappella dove Armonia viene rappresentata al centro di sfere rotanti, ciascuna contenente una musa, vestita di un'armatura di metallo sonoro. Essa dirige le sfere mettendole in condizione di risuonare meravigliosamente fra di loro. Il metallo di quell'armatura emette suoni piacevoli ma è pur sempre una veste guerresca. Perché produrre armonia, crearla e darle senso è azione difficoltosa, a volte ardua, sfiancante. L'armonia non è insita nelle cose del mondo.Quando alcune di esse entrano in risonanza positiva, allora creano armonia. Sono melodie che per un caso o per volontà, si dispongono secondo giuste distanze e risuonano in modo soddisfacente. Viceversa ogni singolo elemento, è in sé una melodia concentrata su se stessa. Magari bellissima, ma votata all'autodeterminazione. Perché tutto in natura tende all'autodeterminazione, che è qualcosa di più della semplice spinta alla sopravvivenza di cui ci parla la Scienza. Autodeterminarsi significa sopravvivere ma anche affermare se stessi, imporsi, distinguersi. Questa naturale propensione interessa i vegetali come gli animali e in massima parte gli uomini. Grazie a questa spinta melodica a essere unici, gli uomini creano cose meravigliose e compiono terribili azioni. Figlie dell'autodeterminazione sono l'arte e la guerra, il pensiero complesso e la perversione. In sé, dunque, essere melodie non ha alcun connotato etico. Si tratta di una condizione neutra che, inevitabilmente si converte in sopraffazione se non è regolata. Pensate agli alberi. Se umanamente disposti in filari distanziati ( e ritorna il discorso della distanza fra le note) crescono in armonico rispetto. Viceversa i più forti e tenaci si imporranno soffocando gli altri.
L'armonia è un processo del pensiero. Essa non è in sé esistente. La dobbiamo tessere, costruire, osservare e proteggere. Ma costantemente alimentare. Poiché basta spostare di poco una distanza, accorciarla o allungarla, per fare precipitare la strada nel vuoto.
Oggi dunque riflettevo su quanto musica e vita si intreccino. Quanto questo elemento, l'Armonia appunto, sia potentemente simbolico. Pensavo a me, a quanto a volte io stesso sia stato fautore di armonia e quante, invece, colpevole di crolli abissali.
Pensavo a quanto sia delicato il processo di chi insegna nel trovare le giuste distanze con cui far risuonare armonicamente classi dense di melodie, melodie forti, delicate, sottili, roboanti, rallentate o accelerate, eppur sempre tutte votate all'autodeterminazione. Ho pensato ai miei 25 allievi, e mi sono visto una tastiera di infinite note. Dar voce alle melodie è prioritario come pure metterle in condizione di avere distanze soddisfacenti affinché esse producano armonia.
Così penso che, infine, quest'artificio del pensiero possa anche chiamarsi pace. Concetto altrettanto complesso, abusato e innaturale. Ma qui si entra in altri miti e lascio cadere la similitudine.
Mi piace concludere ricordando che Armonia fu data in sposa a Cadmo, re di Tebe. Una delle loro figlie fu Semele che, unitasi a Zeus, ne fu folgorata. Il feto da lei portato in grembo fu cucito nella coscia di Zeus fino al compimento del nono mese. Allora il Dio sommo partorì Dioniso, dio misterioso dalla vita complessa, legato al vino, all'ebbrezza, allo stato allucinatorio. Ma dio anche della pazzia, del piacere sfrenato, dell'abbattimento della regola. Trovo meraviglioso che questo Dio e non il vanesio, limpido eppur vendicativo Apollo, dio della musica, sia nipote di Armonia. Essa, come insieme regolato di relazioni, doveva generare discendenze destinate a rompere quelle stesse norme senza le quali siamo destinati ad un'eterna guerra. Perché, il mito ce lo dice, oltre che della bellezza, Armonia fu figlia della guerra.