Guardate, vi prego, questo dipinto. Lo trovo di una bellezza sconcertante. Ci raggiunge dal primo Cinquecento come uno schiaffo, una testimonianza di verità tra le più belle e singolari di tutta la storia del ritratto.
Si tratta di un'opera nota come 'La coppia degli amanti', della quale il pittore ha redatto più di una versione. Questa è quella del Museo delle Belle Arti di Budapest.
L'artista per molti è poco noto. Il suo nome è rimasto celato nei meandri della storia ed è conosciuto soprattutto dagli studiosi. Si chiama Altobello Melone, nacque a Cremona negli ultimissimi anni del Quattrocento quando le innumerevoli civiltà artistiche italiane sembravano un galleggiante mosaico di vitalità e voglia di primeggiare in bellezza. Il nostro paese era un continuo scintillio di variazioni su temi e suggestioni che correvano freneticamente per tutta la penisola. L'Italia era allora un'idea e una sagoma geografica. Non poteva essere altro che questo poiché la sua superficie era frazionata di stati, satelliti e città in guerra o in aperta gara.
Altobello, nascendo a Cremona, fu apparentemente distante dai centri maggiori ma ne subì l'influenza senza venirne eccessivamente contaminato: questo lo rese colto ma spregiudicato, educato eppure libero di inventare. Da Milano lo raggiunse un certo naturalismo leonardesco proteso su sfocate lontananze e distese fatte d'acqua e corpuscoli aerei; a Brescia, ove lavorò con il grande Romanino, costruì una visione luminosa e piena, gustosamente curiosa dei dettagli del vivere quotidiano; da Venezia, l'arrogante Serenissima, assimilò un gusto carnale del colore e una sprezzante trascuratezza del disegno.
Guardate ora questo capolavoro: si capisce subito che il pittore è una mosca bianca nell'universo artistico di allora tutto proteso ad un ideale assoluto di bellezza aulica. Qua siamo di fronte ad un pittore anticlassico, che viene attratto dall'inconsueto, dagli aspetti meno convenzionali della vita. In questo fu aiutato dagli esempi di pittura tedesca e fiamminga che in quei tempi circolavano in Nord Italia. I due giovani, seppur in qualche modo vestiti d'eleganza, sembrano rampolli svitati, i meno preferiti, i secondo geniti poco considerati di qualche buona famiglia mercantile. Hanno fatto appena l'amore o lo faranno entro poco. Ma non gioiosamente, saranno come offuscati dalle loro inquietudini, magari da una qualche droga consumata assieme, in una intimità che profuma di fuga, disperata ma orgogliosa, dalla durezza della vita. Questi due giovani non anticipano forse intere generazioni di veri o presunti dandy, di poeti maledetti, di bohemien scapigliati? Possiamo spingerli fino ai recenti decenni delle contestazioni e li troveremmo paurosamente attuali. Bellissime le parole di Mina Gregori quando di Altobello Melone, a proposito di questo dipinto, sottolinea:
"l'impasto inestricabile di miseria e nobiltà che s'impersonano in questo malinconico Ruzzante e nella sua compagna."
Questo tipo di ritratti mi colpisce sempre perché ha il potere di toccare in modo commuovente i sottotesti della vita, i 'non detti' che a volte sono ciò che dona massima consistenza all'esistenza umana.
In quel sapiente mixage di malinconia e fiera autodeterminazione, nel consapevole sentirsi diversi nel destino ma anche nell'abbandono ad un abisso di rischi, i due amanti giovani del dipinto ungherese sembrano chiedere diritto di asilo oppure, invece, sdegnano il nostro guardarli, certi che nell'assunto borghese che ci connota saremo incapaci di comprenderli.
La grigia consistenza di tenebra che li avvolge li consegna così alla storia, belli e dannati, non inquadrabili, fuori dalle facili etichette. Io li amo profondamente questi due amanti giovani e sfortunati, la loro umanità sfocata mi appartiene, mi pungola come una sofferenza sottile.
Per questo penso che all'arte occorrano sempre menti come quella di Altobello Melone, divergenti e capaci di andare oltre al canone per cogliere la vera vita. Terribile e commuovente.
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