sabato 13 aprile 2013

Sguardi d'arte. Oggi vi accompagno da Orazio ovvero 'La tenebra scintillante'.

Eccoci a Roma.
Siamo agli albori del Seicento, proprio nei primissimi anni. Si sentono i fetori della metropoli papalina, il sapore caldo delle focacce sfornate, il vociare degli osti, i carri cigolanti sul selciato sconnesso. Si sente musica di liuto, canti sconci e liturgie solenni. Il contrasto della città eterna, capitale del mondo, è una sintesi degli opposti: avvince e respinge.
Ma tutto passa da là. Perché è a Roma e solamente a Roma, che si costruisce la storia del gusto e dell'arte agli inizi di quel secolo malato e cupo.
Nelle penombre della fucina romana si muove l'estro assoluto dei titani. Fra questi un posto d'onore spetta a Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.
L'arte di Caravaggio incanta e sconcerta. Detrattori e estimatori del tempo concordarono su un dato di fatto, lo stesso per cui chi detrae teme e chi sostiene incoraggia il controverso pittore lombardo: quella pittura cambierà lo stato delle cose. L'occhio della civiltà occidentale non guarderà più la pittura come ha fatto fino ad ora. Perché il criterio del bello assoluto vi è negato e la naturalezza, a volte brutale, consegue risultati potenti e altrettanto belli, seppur d'una bellezza nuova, che nasce dall'emozione di potersi riconoscere nell'evento figurativo che abbiamo innanzi. Caravaggio fu una delle cesoie più efficaci che la storia dell'arte occidentale ha mai incontrato.
A testimoniarlo, oggi, vorrei chiamare un meraviglioso pittore che la cara amica Paola Betti - la quale conosce ed ama  il Seicento e lo fa amare a chi ha il piacere di leggerla o ascoltarla - mi ha fatto leggere con occhi nuovi. Il pittore si chiama Orazio e l'amore per il gossip ha reso forse più celebre la talentuosa figlia, la celeberrima Artemisia. Ma, senza nulla togliere ad Artemisia, anche Orazio ha una stoffa da pittore di primissimo livello.
Nacque a Pisa negli anni Sessanta del Cinquecento ma presto raggiunse Roma. Pare che facesse l'orafo e che da quella pratica così puntigliosa e cesellata ne abbia derivato la propria pittura tersa, curatissima, impeccabile. Quando incontrò l'arte di Caravaggio, permeata di tenebra e brutalità ma anche d'improvvisi incanti popolari, Orazio si perse. Smarrì il senso di una vita fatta di cesello e di nitore.
Osservando la rivoluzione in atto, Orazio ebbe un cedimento dal quale seppe riprendersi con un compromesso. Sapendo di non poter pervenire ad un linguaggio interamente permeato del nuovo gusto, lo adeguò al proprio registro.
Ne nacque un'arte fatta di ossimori. Bellezza e nitore contro oscurità e naturalezza brutale.
Giustamente Orazio Gentileschi viene oggi ricordato fra i primi caravaggeschi, la cerchia dei pittori che recepirono l'insegnamento (indiretto) dell'arte del Merisi. In quel gruppo, però, egli si mantiene autonomo, diverso. Non perde mai il contatto con il dato naturale ma al contempo mantiene solida la sua visione limpida, fresca.
Guardiamo questo riposo dalla Fuga in Egitto. Il dipinto si conserva a Birmingham, in Alabama, ed una delle varie versioni di questo tema che il pittore realizzò fra i suoi soggiorni fra Roma e Firenze. Del resto la sua vita raminga lo portò anche a Genova, nelle Marche e poi in Francia e a Londra.



Questo dipinto racconta meravigliosamente il Seicento secondo l'occhio di Orazio. Guardate l'Asino che sbuca oltre quel muro sbreccato dove l'intonaco è caduto lasciando vedere il laterizio sottostante. L'asino è stanco, è povero e malinconico ma soprattutto è vero, naturale, intensamente presente alla scena. Quel cielo classico, di azzurri lontani frammisti a nuvole, lo fa risaltare di più. E' un colpo di teatro per dire a noi osservatori, che quella testa d'asino conta quanto la Vergine e il resto. E' lei stessa protagonista.
Maria e Gesù si dispongono nello spazio dal centro verso destra e suonano ai nostri occhi come una bella citazione classica vestita di costumi popolari. La Vergine è una delle numerose, celebri figure femminili di Orazio, aggraziate fanciulle di consistenza morbida, accattivante. Sono popolane di una Roma che in parte è moderna e in parte profuma d'antico, sono archeologiche matrone scolpite a cui il pittore concede una vita nuova e palpitante.
E' altrove, però, che Orazio ci rivela la sua spregiudicata adesione a Caravaggio. Il pezzo meraviglioso di questo bel dipinto è san Giuseppe, riverso in modo iperbolico su un cuscino di fortuna. Il vecchio, seppur immerso nel nitore adamantino caro al pittore, è completamente consegnato al sonno. Le sue righe e la sua barba gareggiano con l'Asino per conquistare un primato di naturalezza. Eppure, anche qui, il pittore riesce a far coincidere la rivoluzione naturalistica con una costruzione classica impeccabile. Il corpo abbandonato è quello di un galata morente, di un guerriero a riposo.
La pittura è teatro. Come la vita. Caravaggio sottrasse quel palcoscenico ideale all'idealità del classicismo.
Orazio, e questo dipinto ce lo conferma, seppe mediare fra lo sconcerto della novità e la purezza della forma antica.



2 commenti:

  1. Parole sante e illuminanti!
    Auliath

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  2. Quando ancora non amavo il Seicento Orazio Gentileschi era uno dei pochi che riuscivo ad apprezzare. In lui l'estetica del Rinascimento è ancora ben presente, il classicismo insito nelle sue opere lo rende saldamente ancorato ad un passato che lo rende sicuro ma, nonostante questo, riesce a cogliere e a leggere in maniera personalissima la rivoluzione in corso, quella che renderà il Seicento antitetico, per molti aspetti, al secolo che lo precede. Orazio è sintesi ed equilibrio nonostante tutto.
    Bella la tua chiacchierata artistica :)

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