domenica 5 maggio 2013

Memorie di un maestro precario: L'omosessualità spiegata ai bambini.

In questo giorno triste, reso tale non tanto dalle uscite omofobe della Biancofiore quanto dal fatto che, non essendo costei nuova a simili exploits, è stata delegata dal governo Letta alle apri opportunità, rifletto che l'argomento omosessualità è ancora lungi dall'essere digerito. Anzi, su questo argomento i passi da fare sono ancora immensi, qua in Italia soprattutto, ma non solo. Qua ancora si raccontano barzellette pensando che le pratiche affettive o sessuali dei gay siano, in qualche modo, espressione di un'alterazione naturale aberrante. Qua ancora si tollerano in contesti conviviali, termini abominevoli quali finocchio o frocio, o frogio nelle varianti localistiche, checca, 'ricchione: parole per cui non poche persone si sono tolte la vita per il dileggio, la prevaricante cattiveria, l'offensivo sarcasmo che esse contengono.
Ho parlato molto di questo tema coi bambini in questi anni. Spesso ho trovato resistenze iniziali ma è bastato introdurre la riflessione sul concetto di 'pregiudizio', raccontare la storia di quel bambino effeminato che si lasciò morire nella neve per 'risvegliarsi quando il mondo sarebbe stato migliore', per creare subito una situazione di disagio, di attenzione massima, di comprensione dell'orrore che può stare dietro la leggerezza. Sì, perché la leggerezza di una battuta, di una barzelletta, di una tastata all'orecchio sono cose che possono uccidere dentro, soprattutto un bambino.
Voglio raccontarvi una fiaba, una fiaba che invento oggi, in questa tristezza, perché torni a splendere il sole per tutti i bambini e le bambine che saranno uomini e donne omosessuali. Perché è da loro, come dico sempre, dalle loro fondamenta che costruiremo un mondo migliore: anzi, offriremo loro i materiali perché loro costruiscano un mondo migliore del nostro.

- Questa è la storia di una principessa che si innamorò di un'altra principessa.
- Come maestro?
- Avete capito bene.
- Non è possibile. Ci vuole un principe.
- Non c'è. Stavolta la storia va così. Ascoltatemi.
- Maestro che schifo. No, no e poi no: due donne, ti pare?
- Posso procedere? Ascoltate. Poi alla fine direte che schifo se avrete provato schifo. Se no, magari, cambierete opinione. Bene. In un lontano paese, su una collina tonda come una fetta d'anguria, sorgeva un castello bianco come l'avorio. I contadini avevano arato i campi sulla collina in modo così ordinato e preciso, che a guardarla da lontano sembrava fatta di mille pezze di stoffe rigate. Anche il castello era tenuto benissimo, aveva un bel giardino con le aiole fiorite e c'era una grande pulizia. Governava quel paese una brava principessa di nome Ipazia.
- Oh che nome è?
- Un nome antico. Ipazia governava con molta saggezza anche se era giovane. Quando aveva un dubbio, non si vergognava e chiedeva consiglio. E' questa la vera saggezza: saper chiedere consiglio senza aver mai la presunzione di sapere tutto. Ora dovete sapere che Ipazia doveva sposarsi. Così era stabilito dalla legge dei castelli. Un vero castello che si rispetti deve avere un principe ed una principessa che lo governano.
"Dovete sposarvi, principessa!" le diceva il grande consigliere di corte. Ma Ipazia sorrideva e scuoteva la testa.
"Nona ancora, non ancora..." aggiungeva sorridendo.
Dopo l'ennesima insistenza, la principessa acconsentì a conoscere dei pretendenti. Giunse il Principe azzurro, ma Ipazia lo trovò melenso; venne il Principe Rosso, ma le sembrò altezzoso; quello Verde era fissato col cibo vegano e Ipazia pensò che non fosse il caso; il Principino Bianco era biondo e si guardava nello specchio di continuo; quello Nero aveva un modo di fare autoritario e lei amava la gentilezza. Insomma, alla fine, li rimandò tutti a casa.
"Vedete principessa, ora il regno è di nuovo senza un principe" disse il Consigliere.
"Lo so, buon uomo, ma che ci posso fare se quei principi non mi hanno acceso il cuore?"
Ora avvenne che dopo qualche giorno, sulla strada delle rose che correva nella valle sotto la collina, passò un corteo di cavalieri e dame. Trenta carrozze variopinte scorrevano una dietro l'altra. Il messaggero di quel corteo salì al castello per chiedere ospitalità per la notte. Figuratevi voi, bambini, se una persona gentile come Ipazia poteva rifiutare una simile cortesia. Fu così che le trenta carrozze salirono la collina e furono ospitate. Alla testa della corte c'era una principessa, Malvina del reame di Perdilà.
- Oh maestro, ma che nomi hanno queste principesse?
- Ma proprio te, che ti chiami Gualtiero, vuoi sindacare sui nomi?
- Hai ragione.
- Ascolta, ascolta... Malvina era stata scacciata dal suo regno. Un principe autoritario, il Cavaliere Spocchioso, si era presentato per sposarla ma lei lo aveva rifiutato. Allora lui, offeso, pensando che tutte le donne del mondo dovessero cadere ai suoi piedi, mosse guerra al Regno di Perdilà e lo conquistò.
"Ora che ho il tuo regno, sposami!" le aveva gridato ma lei, scuotendo la testa, gli rispose:
"Manco per sogno, brutto maleducato. Avrai pure il mio regno ma non me. " E detto questo, con tutta la sua corte, se ne era andata via .
Ipazia si commosse molto sentendo la storia di Malvina. Inoltre, come la principessa del Regno di Perdilà era entrata nel castello, il suo sorriso, quei capelli rossi come fuoco, il profumo dolcissimo della sua pelle le avevano spalancato il cuore. Ed anche Malvina, piena di gioia nell'essere accolta così cordialmente, si sentì emozionare quando vide le gote rosa di Ipazia, le sue mani gentili, le labbra di fragola e i capelli biondi come il grano.
"Rimani qui!" propose Ipazia a Malvina "Regniamo insieme su questo reame!"
Malvina ci pensò un attimo e poi si sentì riempire di gioia.
" Sovvertiamo le leggi dei castelli. Qua regneranno due principesse!" Esultò Ipazia e il gran Consigliere si sentì morire. Le due principesse non solo regnarono con giustizia, ma erano così innamorate l'una dell'altra che la loro felicità si espandeva intorno, sui campi, sul reame intero, sugli abitanti. Insomma, se già il Castello sulla Collina era stato un luogo bello come pochi, ora lo era ancor di più.
"Dovrete dare un erede al trono " si lamentò un giorno il Consigliere ma Malvina e Ipazia non temevano. Sapevano che un fanciullo era stato abbandonato qualche giorno prima nei campi della valle da una coppia di briganti. Il parroco del paese se ne stava occupando. Lo adottarono e lo fecero crescere con loro, educandolo al rispetto e alla generosità. Un domani lui avrebbe retto le sorti del regno.
Venuti a sapere della storia delle due principesse, i principi scartati si sentirono offesi. Chiamarono in aiuto il Cavaliere Spocchioso e tutti assieme andarono all'assalto del castello. Ma quando arrivarono ai piedi della collina, trovarono tutti i sudditi armati di pentole, vanghe, piccozze e aste ad aiutare i soldati di guardia che mostravano alabarde minacciose.
" Andatevene, le nostre principesse regnano così bene e in così bella armonia, che non abbiamo bisogno di voi!"
Spaventati da tutto quell'armamentario, i principi e il Cavaliere fecero dietrofront e non tornarono mai più.
Ipazia e Malvina regnarono per molti anni e assieme al loro bambino e a tutti i sudditi, vissero felici e contente.

Silenzio

- Allora, ancora ti fa schifo la questione?
- Mmm, non so, ci devo pensare.
- Beh, è già qualcosa.
- Ma Maestro, scusa, ma proprio nessuno di quei principi le era piaciuto? Nemmeno uno? Neanche un pochino?
- No, e sai perchè?
- No che non lo so.
- Perché il cuore di Ipazia, come accade per il cuore di ciascuno di noi, stava aspettando. Aspettava un'emozione così bella e forte capace di aprirlo. E solo una persona poteva farlo, ovvero quella giusta.
- E la persona giusta era Malvina.
- Esatto. Ognuno attende la persona giusta, la cerca, prova varie strade. Ma se non mente a se stesso e segue la strada dove il suo cuore lo porta, la troverà.
- Anche la strada di Malvina doveva incontrare quella di Ipazia.
- Bravo, vedo che hai capito. Non potevano esserci principi per Ipazia o Malvina, i loro cuori erano pronti ad accogliere uno quello dell'altra. Erano nati per seguire regole diverse da quelle che la sciocca legge dei Castelli aveva imposto.
- Che legge stupida.
- Davvero. Può una legge, può una religione, può qualcuno imporci chi amare?
- Nooooo.
- E allora, ora vi chiedo: vi fa ancora schifo la mia storia di una principessa che si innamorò di un'altra principessa?
- No, maestro - dice Lucilla e ha occhi lucidi. A Lucilla piace giocare a calcio e a volte le fanno notare che è un po' maschiaccio. - E' bellissima questa storia.
Ed io abbraccio Lucilla e con lei tutte le persone che, in un domani diverso, governeranno colline di gentilezza e rispetto.





3 commenti:

  1. Io abbraccio te.
    Penso di averti già detto che il più bel romanzo d'amore che io abbia letto in assoluto è "Maurice" di Forster. Indubbiamente i suoi altri ne sono un pallido riflesso.
    E ti ho già detto che quando ero educatrice in chiesa dovetti litigare con la superiora che formava i bambini del catechismo per togliere dal disegno dei peccati l'omosessualità.
    Oggi ho sentito una filosofa a commento di rai due dell'ennesimo femminicidio sulla necessità di formare fin dalle scuole primarie i bambini allo sviluppo di una coscienza del rispetto dell'alterità a tutti i livelli.
    Personalmente penso sia la strada per creare un futuro diverso per l'umanità, ma per il presente ci vuole una sistematica campagna di sensibilizzazione e di stigmatizzazione nei confronti di quei comportamenti contro l'integrità umana di tanti individui.
    Affinché si inverta il processo, che diversi e malati si sentano loro.
    Tanto per farli rinsavire è troppo tardi.

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    1. Un abbraccio forte Amalia e grazie di essere passata lasciando un traccia così bella.

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  2. Ai miei bimbi è piaciuta questa storia! Bravo Riccardo

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